Episodio Due/1

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Una cosa che ho imparato presto nella vita, e che hanno imparato, prima di me, i miei stessi genitori, è che il cioccolato è capace di addolcire la vita, di spazzare via qualunque amarezza, sgonfiare la rabbia, spegnere i capricci, neutralizzare i malumori. La promessa di un gigantesco uovo di cioccolato al latte e con le nocciole si era sempre rivelata utile a convincermi a dare il meglio di me, a scuola, nei mesi primaverili. E per spegnere i miei malumori e i miei bollori di rabbia adolescenziale, a volte, ricorrevano a un buon pezzo di cioccolato.

Peccato che i genitori di Jacopo non fossero arrivati alla stessa conclusione.

A undici anni, in prima media, Jacopo tradiva l'immagine di sé – un faccino adorabile, due occhioni vispi, i capelli ribelli color carota, le lentiggini curiose sul volto – manifestando i peggiori sintomi di una precoce adolescenza: rabbia, disagio, scarsissima capacità di sopportare le storture della vita e, soprattutto, una forte propensione a provocare sua madre.

Nonostante l'intervento costante di suo padre, che s'era fatto sempre più coinvolto negli ultimi mesi, sottraendolo a una cura materna che s'era trasformata in una morsa mortale, ma a costo del ruolo di genitore castigatore che aveva reclamato per sé, sottoponendo suo figlio a sculacciate e consolazioni, punizioni e coccole, Jacopo proprio non riusciva a ritrovare un minimo di stabilità nel suo rapporto con la madre, sempre più deteriorato. E sì che quella era stata l'intuizione di suo padre: sarebbe stato lui il punto di riferimento, ma anche il bersaglio del suo disagio, della sua rabbia, l'adulto punitore con cui prendersela per ogni cosa. Invece, continuava a investire sua madre di provocazioni. D'altro canto, a viver nei panni di questo undicenne perennemente contrito, non è che la madre riuscisse a porsi in modo più conciliante. La povera donna restava interdetta, continuava a chiedersi dove fosse finito il suo adorabile bambino, non trovando il modo di gestire un ragazzino che andava crescendo a vista d'occhio – almeno, caratterialmente, perché d'aspetto Jacopo restava un bambino a tutti gli effetti.

Dopo l'episodio del brutto scherzo ai danni di sua madre, quando, durante le vacanze di Carnevale, l'aveva provocata con un orecchino finto, solo per dimostrarle quanto fosse esagerata, concludendo però con una sculacciata severa dal papà, la situazione tra lui e la mamma s'era semplicemente congelata. Sua madre aveva preso le distanze, tormentata, incapace di comprendere le ragioni del suo allontanamento, ma decisa a dargli spazio, e Jacopo aveva smesso di provocarla, ma restandovi il più lontano possibile. Suo padre, che pure era stato colui che l'aveva sculacciato, restava il suo privilegiato interlocutore.

Il tempo aveva fatto però il suo corso. Febbraio era finito, Marzo era giunto e lo spirito festoso del Carnevale aveva lasciato lo spazio al ritmo febbrile, ansiogeno e compresso dei compiti e delle interrogazioni, una corsa contro il tempo per evitare di arrivare a un pagellino insoddisfacente. La primavera però portava con sé sempre un po' di sonnolenza, un po' di impazienza, e spazzava via qualunque briciolo di motivazione che i ragazzi potevano trovare a scuola. Jacopo, poi, s'era fatto impaziente: voleva uscire nelle belle giornate, andare in bici, o sui pattini, di restare chiuso in camera a studiare proprio non voleva saperne. L'unico che avrebbe potuto contenere e disciplinare quelle esplosioni di energia, poco utile alla concentrazione a fin di studio, era suo padre, che però aveva ripreso a farsi sempre più assente, strappato al nucleo familiare da viaggi di lavoro, impegni, scadenze, incontri fuori l'orario di lavoro e quant'altro.

Quando erano stati fissati i colloqui a scuola, in occasione della valutazione intermedia – l'odiato pagellino – Jacopo aveva appreso la terribile e sconveniente verità: quel pomeriggio, a incontrare i suoi professori sarebbe andata sua madre, perché per suo padre sarebbe stato impossibile, via per un viaggio di lavoro.

All'incontro precedente, i primi di Dicembre, era andato suo padre. Il conto era stato salatissimo, con quattro insufficienze aveva dovuto vedersela con la spazzola. Ci stava. Anche se era rimasto amareggiato per qualche giorno, poi se l'era fatta passare, si era messo sotto con lo studio e per la fine del quadrimestre alcune insufficienze erano rientrate. Fosse stata sua madre, a ricevere la brutta notizia, avrebbe fatto un bel falò con tutti i suoi fumetti, videogiochi, e pure il kimono del karate.

Ramoscelli pungenti e uova scottanti (SV#7)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora