Dopo lo sfacelo di quell'inizio di vacanze pasquali, Leonardo aveva rimesso tutte le sue speranze nella giornata di Pasquetta, il penultimo giorno di vacanza, anzi, l'ultimo a tutti gli effetti, perché, da che mondo è mondo, il martedì, prima del rientro in classe, si studia tutto il giorno, per tentare di smaltire l'accumulo di compiti lasciato dai professori come se avessero avuto un mese e non sei giorni di pausa.
La ragione di tanta impazienza, e di tenace speranza, tipica dei ragazzini della sua età, in bilico tra pubertà e adolescenza, a due mesi dalla fine delle medie e già proiettato verso il liceo e a un pugno di giorni dal suo quattordicesimo compleanno, è da cercare nella sfortunata convergenza di quattro spiacevoli circostanze.
La prima: i suoi genitori erano andati ai colloqui a scuola. Tutti e due, eccezionalmente: suo padre era riuscito a liberarsi, del resto erano stati fissati nel tardo pomeriggio, mentre per sua madre veniva facile passare da scuola, direttamente all'uscita dal lavoro. L'insistenza con cui suo padre aveva voluto esserci era dovuta al fatto si trattasse dell'ultimo ricevimento della scuola media, traguardo che non faceva altro che ripetergli, come se potesse dimenticarlo. Leonardo s'era reso conto che era la solita maledizione del figlio unico: non ci sarebbero stati altri studenti delle medie, in quella casa. Per suo padre sarebbe stato un capitolo chiuso. A Leonardo, però, non sarebbe mancato di certo, mentre suo padre si accingeva a voltare pagina con tristezza, quasi. Assurdo, ma vero. A ogni modo, quel colloquio a ridosso delle vacanze era stato una cattiveria assurda. Ovviamente non era andato bene, trascinava delle insufficienze praticamente da sempre, e in più molti insegnanti si erano lamentati della sua condotta e avevano rammentato a suo padre una nota disciplinare che gli era sfuggita, essendo stata gestita da sua madre all'insaputa di lui.
Ora, suo padre, che pure non riusciva a stare dietro al ritmo familiare, pretendeva comunque di tenere sotto controllo la sua carriera scolastica. Quando si trattava di prendere delle brutte insufficienze, la sua punizione non si faceva attendere: gli sequestrava la Xbox, a volte il cellulare, anche se non lo faceva più da un annetto, e in qualche caso gli aveva pure vietato il calcio, pur essendo contento che praticasse qualche sport. Sua madre, che in genere cercava di difenderlo, giocando il ruolo del complice, indorando la pillola con suo padre e, talvolta, omettendogli qualche informazione, su quel genere di punizione concordava con suo padre. Entrambi, infatti, ritenevano che il suo rendimento scolastico risentisse delle distrazioni fornite soprattutto dai videogiochi. Quanto al calcio, sua madre non lo sopportava e dunque era semplicemente entusiasta, quando suo padre decideva di metterlo in panchina, per così dire, per una, massimo due settimane. Tenuto conto della sua salute sempre abbastanza cagionevole, della sua propensione a farsi venire abbassamenti di pressione dappertutto, e l'abitudine a trascorrere i mesi freddi saltando da un raffreddore all'altro, praticamente il calcio lo vedeva col binocolo, non riusciva mai ad allenarsi in modo costante e così, quando anche riusciva a frequentare, alle partite restava spesso in panchina.
Discorso diverso per le note disciplinari e i pagellini. In quei casi, come per ogni altra situazione in cui suo padre si sentiva in dovere di intervenire e disciplinarlo, ricorreva sempre alle sculacciate. Leonardo le aveva prese, be', praticamente da sempre. Al punto che, andando poi a scuola, alle elementari, s'era stupito di scoprire che non era roba da tutti e che, anche quelli che le prendevano, faticavano a parlare. Poco a poco, aveva compreso quanto fosse un argomento controverso, che suo padre stesso cercava di non condividere troppo. In effetti, come aveva preso consapevolezza, suo padre non lo puniva mai in pubblico, nemmeno uno sculaccione di avvertimento (che in casa invece fioccavano quotidianamente), né lo minacciava chiaramente. Era una faccenda privata che doveva restare in casa. E così, incamerando progressivamente il riserbo del padre, aveva smesso di cercare con insistenza il confronto. Restava però curioso di sapere se si trattasse di una tradizione di famiglia o di una decisione arbitraria di suo padre. Anche perché sua madre le tollerava e a volte le invocava, ma mai gliele aveva date, nemmeno quando era piccino. Finché non aveva scoperto, durante un pranzo coi parenti, che anche le figlie di sua zia, sorella di papà, le prendevano, confermando che si trattava, dunque, di una tradizione di famiglia.
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Ramoscelli pungenti e uova scottanti (SV#7)
Historia CortaConiglietti, uova colorate, ramoscelli d'ulivo, dita sporche di cioccolato squagliato... è tempo di Pasqua e di marachelle pasquali! Dalla Domenica delle Palme alle grigliate per Pasquetta, troveremo ancora adolescenti riottosi, bambini pasticcioni...