01. lei è una ribelle, lei è una santa.
I miei occhi si aprirono al suono degli uccellini che cinguettavano le loro canzoni del buongiorno, segno che era già mattino e ora di alzarsi. Provai a muovermi ma era veramente impossibile a causa delle forti braccia che mi cingevano la vita; gemetti spostando le braccia dal mio corpo. Non sprecai altro tempo e mi alzai, posando i piedi nelle mie vecchie pantofole consumate.
Il corpo accanto a me si stiracchiò e mugulò qualcosa di incomprensibile, sedendosi tra il mare di lenzuola e coperte.
"Rebel?" disse Ashton, strofinandosi gentilmente gli occhi con il dorso della mano, le sue palpebre erano pesanti ed esigevano un altro po' di sonno. Mi fermai; avevo trovato riparo nella voce gutturale, impastata dal sonno, di Ashton. "Rebel, dove stai andando?"
"A casa." replicai monotonamente non guardando Ashton, così non avrebbe avuto modo di vedere il mio viso arrossato a causa della sua voce.
Sentii una mano stringersi attorno al mio piccolo polso, mi trascinò di nuovo sul letto.
"No, rimani" disse mentre mi avvicinava a sè per poi stringere le sue braccia attorno al mio corpo. "Rimani con me a coccolarci."
"Ashton, no" insistetti, "Devo davvero tornare a casa. Mi manca il mio letto." Il ragazzo sospirò, lasciandomi andare.
"Ancora non capisco perchè ho comprato questo appartamento. Voglio dire, l'ho comprato per noi, per stare insieme e tu a malapena dormi qui a volte!" esclamò, coprendosi con le lenzuola. Alzai gli occhi al cielo guardandomi intorno nell'appartamento. Tolsi le coperte dal corpo di Ashton solo per ritrovarlo a fissarmi con la faccia da cucciolo. "Perfavore?" provò per l'ultima volta.
Mi chinai lasciandogli un bacio sulla fronte.
"Ci vediamo dopo," dissi piano, sapevo che Ashton era infastidito dal fatto che lo stavo lasciando da solo.
"Sono a casa!" gridai appena aperta la porta principale, camminando dentro la calda ed accogliente casa che non potrei mai identificare come "casa mia", un posto dove stare tranquilli.
Il lungo silenzio che si era creato mi fece pensare che i miei genitori non fossero a casa, ma il suono improvviso di passi che si avvicinavano mi fecero capire il contrario.
"Dov'eri?" una donna apparve dalla cucina: aveva un piatto in una mano e uno straccio nell'altra, che si appoggiò al polso mentre mi guardava contrariata. I suoi capelli castano chiaro erano arricciati verso la fine, finivano appena sopra le spalle. Indossava un vestito fiorito e delle perle, il tipo outfit della madre "perfetta".
"Ciao anche a te," dissi sarcasticamente rispondendo, alzai poi gli occhi al cielo. Mi guardò con gli occhi verdi assottigliati, posando il piatto in un posto sicuro per poi tornare da me.
"Non provare a cambiare discorso," sputò. "Dove cazzo eri? Oh, no, lasciami indovinar," rise sarcasticamente, "Magari eri a bere con i tuoi, chiamiamoli cos', amici; o no, magari eri a farti sbattere da quel coglione del tuo ragazzo."
"No, io-" dissi, ma la sua voce disse altro prima di lasciarmi finire.
"Eri con lui, allora" disse, più come una conferma che come affermazione. Prese il mio silenzio per un si. "Quel ragazzo ti metterà incinta per poi lasciarti; e chi sarà lì a supportarti? Non io, questo è dannatamente sicuro. Per la miseria, non impari mai, Barbara?"
"Mamma, te l'ho detto un centinaio di volte che odio quando mi chiami Barbara!"
"Non ti chiamerò Rebel! Sei fottutamente stupida? Guardati, ti dai un patetico soprannome come se fossi una stupida ragazzina punk."