Harry

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"Sometimes i wish i could freeze the picture,
And save it from the funny tricks of the time
Slipping through my finger...."


La chiave entrò nella serratura e, con due giri, il suono familiare spezzò il silenzio. Sospirai, appoggiai la mano sulla maniglia e spinsi la porta.

L'aria era pesante di polvere e silenzio. Accesi la luce, illuminando lo studio. Tutto era immobile, fermo nel tempo. La chitarra giaceva ancora a terra, gli spartiti ammucchiati sul comodino come li avevo lasciati. Una coperta aggrovigliata sul divano. La cornice della foto, spezzata, con i vetri sparsi sul pavimento.

Niente era cambiato. Eppure, qualcosa era cambiato per sempre.

Ero l'unico ad avere le chiavi. Io avevo chiuso lo studio mesi fa. E ora ero qui per aprirlo un'ultima volta. Nemmeno i ragazzi avevano chiesto di tornare. Nessuno aveva osato. La felpa di James era ancora appesa, un ricordo sbiadito di quello che eravamo. Mi sembrava di essere tornato in un'altra epoca, in un tempo ormai svanito.
Ho smesso, non canto, non suono. Non scrivo canzoni. I concerti sono finiti da anni.

Stamattina mi sono svegliato con fatica, mi sono alzato dal divano e ho guardato il calendario. Oggi è il giorno di aprire lo studio per poi richiuderlo per sempre. Sono davvero in pochi a sapere che ho deciso di non continuare, tra cui i miei colleghi e Niall.
Max non lo sa ancora, lui ha ancora speranza che io riprenda a cantare, che suo papà torni a essere quello di un tempo, ma non posso. Harry Styles è morto ormai da tanto tempo ed è rimasto solo Harry, un adulto molto impacciato, incapace di vivere come si deve.

Questo, però, è il prezzo che devo pagare per quello che ho fatto, per quello che ho subito e accettato. Non mi sono minimamente ribellato, non ho fatto niente, e non faccio altro che sentirmi inutile e sbagliato per questo. La colpa è mia, solo mia, di chi, se no?

Sospirai, alzai la chitarra da terra, la riposizionai al suo posto, raccolsi gli spartiti e li misi nel cassetto del comodino. Mi girai in cerca dello scopino per ripulire i vetri. Quando lo vidi, lo afferrai. Mi chinai sui vetri, attento a non beccarne nessuno; erano molto impolverati e quasi faticavo a distinguerli. Li raccolsi piano, ma evitai la cornice, evitai la foto coperta, o almeno ci provai.

Buttai via i vetri, ma non potevo lasciare la foto per terra. È solo una foto, che vuoi che sia? Quando la tirai su da terra, però, non la girai e non la rimisi a faccia in su sul comodino; la lasciai sdraiata. Guardai l'orologio: mancava poco tempo. Misi le mani in tasca e mi guardai intorno, non sapendo cosa fare nel frattempo che attendevo il suo arrivo.
Il tappeto verde lo sentivo ancora morbido sotto le scarpe, ma aveva perso colore per via della polvere ed era ora più tendente al grigio. Il vetro della sala registrazioni era scuro e si intravedeva il microfono; dovevano esserci anche le cuffie, probabilmente cadute giù. I quadri sulle pareti non apparivano più accoglienti come un tempo, anzi, mettevano una certa ansia che mi portò a distogliere gli occhi da essi.
Piegai la coperta e mi sedetti al suo posto. Mi girai i pollici per qualche minuto, fissando il vuoto. Non riuscivo a smettere di pensare alla foto, alla cornice fatta a mano che ormai era distrutta. Lo sguardo di quella cornice rotta mi bruciava il braccio, tanto che mi grattai in quel punto per la frustrazione.

Sbuffai e appoggiai la schiena contro i cuscini del divano; mi veniva quasi da ridere. Era da una settimana che mi preparavo mentalmente per rientrare qui, e non perché avrei dovuto mettere a posto o perché mi ricordava quel periodo terribile della mia vita. No, tutto solo per quella foto che ora è a pochi centimetri da me e mi sta tormentando.

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