Quel pomeriggio Nikolaj era rientrato da lavoro a un orario più comodo del solito, tanto che decise su due piedi di impiegare la serata per far visita alla sua nuova conoscenza. Non apprezzava particolarmente i casinò, né locali simili, per cui non era esattamente un piacere recarsi da lui, ma pur di osservare quella meravigliosa creatura anche solo per altri cinque minuti lo avrebbe fatto volentieri. Dunque, ancora una volta, mise piede in quel posto che da quel momento in poi l'avrebbe accolto spesso. La cosa più antipatica, che saltava agli occhi alla prima occhiata in quella marmaglia di giocatori di roulette, era l'ostentato rispetto per l'occupazione cui quegli individui si dedicavano, l'aspetto serio e persino rispettabile che assumevano tutti coloro che circondavano i tavoli. In quel poco spazio dove tante voci si mescolavano tra loro, i suoni si amplificavano largamente. Era per questa ragione che un violoncello o un pianoforte di sottofondo risultava necessario per attutire il baccano sollevato dai giocatori e regalare a quell'ambiente un motivo più virtuoso. Quando la musica taceva, coloro che fossero ancora abbastanza sobri da percepire prontamente i cambiamenti esterni, se ne rendevano conto facilmente. Il sottofondo melodioso faceva ormai parte della circostanza e, quando esso mancava, il vuoto era palpabile. Le corde dello strumento avevano smesso di vibrare all'improvviso, quando Nikolaj aveva messo piede nella locanda sfoggiando il solito sorriso sornione. Aveva rivolto uno sguardo disinteressato ai presenti e i suoi occhi si erano immediatamente fermati sul musicista che in quel momento era rimasto impietrito, stroncando la melodia che stava arpeggiando poco prima.
Quando aveva visto il biondo fare capolino nella locanda Fëdor aveva improvvisamente perso fino all’ultimo briciolo di concentrazione. Senza comprenderne il perché, nella mente del corvino erano riaffiorati turbinosamente i ricordi di quando, qualche sera prima, aveva danzato con quell'uomo. Per un istante avvertì persino il peso di quella mano grande e delicata che gli si era posata su un fianco, come se fosse ancora lì. E al solo pensiero raggelò: era la prima volta che aveva concesso a qualcuno di stargli vicino a tal punto e il motivo restava un mistero legato a una semplice e banale provocazione, ma, soprattutto, l’idea che non si fosse rifiutato di ballare lo repelleva. Incrociare di nuovo quelle iridi pallide e profonde lo aveva visibilmente sconcertato, avvertiva persino un destabilizzante senso di nausea. Era stupido pensare che allontanandosi da quella minaccia ambulante avrebbe risolto quel senso di disgusto che provava, ma in quel momento odiava l'idea di stargli ulteriormente vicino. Aveva faticato molto a prendere sonno nei giorni precedenti, proprio perché non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto lasciarsi sopraffare dall'inspiegabile necessità di aspettare e osservare. Era stato del tutto colto alla sprovvista quando Nikolaj lo aveva attirato in quel valzer, chiudendolo in una morsa tanto gentile quanto ferrea, quasi non volesse farlo scappare. Eppure non ci sarebbe voluto molto a spingerlo via e rifiutarsi per l'ennesima volta. Era sì cagionevole di salute, ma non tanto deboluccio da non potersi permettere di allontanare qualcuno. Di certo Fëdor non era una persona che si faceva scrupoli a dire di no, né tantomeno si sarebbe preoccupato di ferire uno sconosciuto. A quel punto la verità poteva essere legata soltanto al fatto che in quel momento l'opzione di dire di ‘no’ non aveva neppure sfiorato la sua mente. Allora era stato chiaro che lì, in quel posto, quella sera, non gli fosse davvero dispiaciuto trovarsi in quella situazione. Era stato inusuale, ma non terribile. Dopo, però... oh! Dopo si era ritrovato a fare i conti con la sua coscienza. Mentre Ivan parlava non aveva fatto altro che ripensare a quel valzer privo di ogni senso. Non vedeva quella sua conoscenza da anni, eppure non era riuscito a dargli nessun tipo di confortevole accoglienza. Era turbato, ed era rimasto in silenzio per gran parte della serata. Ivan era l'unico essere umano che si fosse trovato a conoscere informazioni relative al suo passato e perlopiù era stato un amico di suo fratello, ma in qualche modo teneva alla sua compagnia e tra un viaggio e l'altro a Parigi tornava sempre a cercarlo. Dostoevskij si rendeva conto che lo facesse principalmente perché egli stesso aveva fatto in modo di impietosirlo per tenerselo stretto. Era l'unica persona che non avrebbe dovuto mai perdere, poiché sapeva troppo. Conosceva di lui cose che altri non immaginavano neppure e non perché gliene avesse informato lui stesso. Qualcosa lo aveva visto coi suoi stessi occhi, qualcos'altro invece glielo aveva raccontato suo fratello... e immancabilmente Ivan era diventato una presenza di cui non si sarebbe potuto liberare. Perlomeno, si trattava di un uomo colto, un poeta e scrittore dal carattere pacato e terribilmente obbediente, unica nota positiva della situazione. Almeno in sua compagnia di solito poteva bere qualcosa e discorrere dei fatti contemporanei o dei suoi saggi preferiti senza doversi trattenere, poiché di certo sarebbe stato compreso e stimato. Tuttavia, quella sera, aveva parlato così poco che era stato impossibile non notare la preoccupazione mista a delusione sul volto del poeta. Si era giustificato dicendo che avesse un forte mal di testa e che si sentisse poco bene, ma era stato chiaro agli occhi del visitatore che la realtà fosse ben più oscura. Ivan era andato via, ma nei giorni seguenti l'umore di Fëdor non era comunque migliorato. Era solito dormire molto poco rispetto a quella che dovrebbe essere la media delle ore di sonno per ottenere del sano riposo, eppure i cerchi scuri attorno ai suoi occhi stanchi erano perfino più lampanti adesso. Non stava riuscendo a chiudere occhio per via di quella nuova e opprimente sensazione. Allorché quando aveva rivisto Nikolaj proprio dinanzi a sé gli si era fermato il respiro. La presenza di quell’uomo adesso lo faceva sentire assurdamente a disagio e lo stato confusionale in cui versava la sua mente abbattuta dai numerosi dubbi peggiorò notevolmente il suo umore. In un battito di ciglia, una ricorrente cupa sensazione di sconfinata solitudine e di distacco da ogni cosa prese possesso del suo animo vacillante. In quel momento ogni pensiero sembrò passare in secondo piano, ogni bassezza, ogni peccato, ogni virtù. Se pure lo avessero condannato a morte, neppure in tal caso probabilmente si sarebbe riscosso, e forse non avrebbe nemmeno ascoltato con attenzione la condanna. Era consapevole che gli stesse accadendo qualcosa di nuovo, sconosciuto, di subitaneo e inaudito. E la sensazione peggiore era riuscire a riconoscere che quell'emozione fosse la piú tormentosa tra quelle che avesse mai provato nella sua vita. Gli apparve una sorta di voragine, appena visibile in basso, sotto ai suoi piedi, e in essa scivolavano il suo passato e i pensieri di una vita intera, i problemi e gli argomenti e le impressioni di un tempo, e tutto l'ambiente intorno, e lui stesso e tutto... E tutto, gli parve essersi dissipato lontano, chi sa dove, dileguandosi sotto i suoi piedi. Il silenzio l'aveva imbottigliato in una capsula trasparente che neppure la voce di Nikolaj stava riuscendo a rompere. Il corvino udiva in maniera ovattata il suo nome pronunciato più e più volte dall'uomo col mantello bianco, ma sembrava lontano: né le sue orecchie né i suoi occhi spalancati riuscivano più a mettere a fuoco alcunché. Desiderava scomparire in quell'istante, restare da solo e darsi tempo per realizzare ciò che aveva scatenato quel vuoto e, magari, imparare a gestirlo. Eppure, non poteva permetterselo: era ancora circondato di gente. Due mani guantate gli avevano sfiorato il viso, subito dopo afferrando le sue mani con decisione, e nel giro di un secondo si era ritrovato l'espressione entusiasta del biondo a un palmo dal naso: un occhio dai riflessi del quarzo di luna blu iniziò a fissarlo con una certa apprensione, adornato dalla cicatrice verticale che gli scendeva fin sulla guancia, l'altro occhio meticolosamente coperto dai capelli chiari come la neve. Era stato impossibile non notare a quel punto il cambiamento da entusiasta a preoccupato sul volto dell’intruso. Al moro si spezzò il respiro in gola, e solo quando i suoi polmoni ebbero troppa necessità di rifornirsi d’aria riprese finalmente contatto con la realtà, risvegliato dal suo spirito di sopravvivenza. Si liberò senza alcun riguardo dalla presa di Nikolaj sulle sue mani e, a quel punto, dischiuse le labbra per parlare, senza neppure avere ancora idea di cosa dire, ma un’altra voce si levò al posto della propria: « È disgustoso! » aveva affermato, quasi leggendogli nella mente. A parlare era stato un uomo di mezza età con una profonda smorfia che gli distorceva le labbra incorniciate dalla barba canuta. Li aveva guardati e poi aveva continuato a parlare rivolgendosi a qualcuno dietro un tavolo da gioco: « Sono davvero disgustosi. Bisognerebbe avere almeno il buon senso di non commettere certe oscenità sotto il naso della gente dignitosa... »
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፧ De Libertate ፧ Fyolai ፧
Historical Fiction❝ Non⠀trovi⠀che⠀cedere⠀al fato⠀e abbandonarsi alla morte per ottenere la libertà sia una totale forzatura? Perché mai⠀gli esseri umani dovreb- bero sottostare⠀a questo rituale pur di essere liberi ? È una totale ingiusti- zia. L'umanità è così medio...