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Dopo quella serata finita in tragedia, le giornate successive di Nikolaj giunsero a essere nient'altro che un'espansione della tragedia stessa. Si alzava dal letto al mattino, si legava i lunghi capelli biancastri, vestiva abiti freschi e puliti, si concedeva un pasto veloce e si recava a lavoro. Non aveva mai lavorato così tanto, probabilmente. Tentava in ogni modo di tenere la testa impegnata e si assumeva un carico di occupazioni del doppio - o del triplo - di quello che gli sarebbe spettato. Lavorava così tanto che a fine giornata il suo polso destro chiedeva pietà, dolorante per essere stato sottoposto allo sforzo di compilare o ricopiare documenti per ore e ore. Quando non scriveva, impilava pagine su pagine, catalogava libri su libri, riordinava fascicoli su fascicoli... e la sua mente, sopraffatta dal carico delle sue occupazioni, restava in silenzio a subìre quell'abuso del suo potenziale. Nikolaj era certamente un uomo troppo intelligente per i compiti che svolgeva. Spesso, involontariamente, faceva ben più di quanto gli fosse richiesto per la paga che ricevava. Certo, era pur sempre un'occupazione che in pochi avrebbero potuto svolgere, ma lui avrebbe facilmente potuto trovarsi più in alto di altri nel ministero di Pietroburgo, se solo non fosse stato così restìo a rispettare le regole. Dopotutto, non aveva alcuna intenzione di andare più in alto di così. Il silenzio della sezione della copisteria era una culla che teneramente garantiva la pace della sua mente stanca. La paga era abbastanza buona da consentirgli una vita agiata e non aveva nulla di cui lamentarsi, dacché lavorava da solo e non era costretto a interagire con nessun altro. Poche volte gli era capitato di passare sporadicamente in altri uffici e i suoi occhi e le sue orecchie erano rimasti distratti al punto da fargli desiderare di tornare a casa. Era impossibile per lui osservare gli esordi di quella società dedita al denaro e non pentirsi di farne indispensabilmente parte. La catena di montaggio che stava nascendo persino tra i compiti del ministero gli metteva i brividi. Sostanzialmente in quel luogo avrebbero dovuto lavorare solo i più alti ingegni, persone istruite e intellettuali... eppure nessuno di loro sembrava preoccuparsi della grande fossa che stavano scavando con le loro stesse mani. Scavavano e scavavano e dissotterravano conoscenze e scoprivano nuovi tesori, senza rendersi conto che continuando a scavare sarebbero finiti ben presto in un baratro da cui nessuno avrebbe più potuto tirarli fuori. Si calavano nel buio della fossa e non si guardavano mai alle spalle, non si chiedevano come avrebbero fatto a tornare in superficie una volta soddisfatta la loro curiosità. La verità è che in superficie ormai non potevano tornarci più. L'uomo era andato dritto verso una fine atroce, fatta di cecità e insolenza. Avevano lasciato la luce per il buio, superbamente convinti che sarebbero riusciti a tornare alla luce in caso fosse andato tutto per il peggio. O forse i sognatori credevano ancor di più di star scavando un tunnel orizzontale e che prima o poi sarebbero riemersi e un sole nuovo gli avrebbe baciato la pelle. Eppure, c'era solo l'oscurità a circondarli: il peggio era lì davanti a loro e loro continuavano a scavare in nome di un progresso e di un benessere che puzzava di putrefazione. E ogni giorno Nikolaj era costretto a guardarli scavare senza poter aprir bocca. Sempre meglio osservare gli altri intenti a scavare che non cadere nella fossa egli stesso, almeno. E mentre era intento a osservare loro, la sua mente si distraeva e teneva lontano il pensiero che l'unico uomo che avesse mai visto ergersi nella luce era stato proprio Dostoevskij. Doveva tenerlo lontano, quel pensiero. Doveva tenersi lontano. E così stava passando il tempo... Si alzava dal letto, si pettinava, faceva colazione e andava a lavoro tutte le mattine, ma ormai il sole aveva sciolto la neve invernale e poi anche il sole era stato tramortito dal vento. A quel punto dell'anno la stella luminosa che guardava le sue giornate spente era soffocata dall'incombere del pallido autunno.

Erano passati mesi, ormai, da quando Nikolaj aveva visto Fëdor per l'ultima volta. Le prime settimane erano state le peggiori: a volte capitava che camminasse fino al casinò solo per spiare da una finestra, intercettare la figura del corvino e poi fuggire nuovamente verso casa col terrore che Fëdor l'avesse notato. Dopodiché il tempo aveva iniziato a fare il suo corso e le settimane erano passate in modo sempre più veloce. Non si era neppure davvero accorto che fossero passati tutti quei mesi finché non aveva per caso incontrato Sigma. E come avrebbe potuto accorgersene, dopotutto? Il suo piano che prevedeva di scomparire tra le cartacce del ministero aveva avuto risultati egregi: non aveva davvero avuto tempo per pensare ad altro. Inizialmente era stato difficile tenere a bada il suo istinto; ogni volta che beveva un bicchiere di troppo i suoi piedi tendevano a riportarlo dinanzi a quello scabro locale di scommesse. Per fortuna, però, col continuo susseguirsi di albe e tramonti aveva smesso di tenere il conto dei giorni, consapevole che altrimenti sarebbe impazzito.

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