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Quel loro atteso incontro aveva sancito una sorta di pacifica tregua. Entrambi avevano quantomeno ammesso a se stessi di avere in qualche maniera necessità di un contatto con l'altro. Nikolaj l'aveva compreso molto tempo addietro, per la verità. Non aveva impiegato molto a capire che il suo animo ardesse al pensiero di rivedere il corvino. Sin dalla prima volta che l'aveva incontrato aveva accettato che strepitasse dalla voglia di sentirlo suonare, di sentirlo parlare o anche solo di osservare i movimenti delle sue labbra e non sentirlo affatto. Per quanto fosse una persona incapace di comprendere gli astrusi ingranaggi che muovono l'animo umano, sé stesso in primis, le sue azioni erano mosse perlopiù dall'istinto, allorché nessun ostacolo si interponeva tra i suoi desideri e l'accettazione degli stessi.

Per Fëdor, invece, era molto diverso; l'istinto rappresentava una calamità ormai placata, una capacità latente ripiegata nei meandri del suo spirito. Il corvino si interfacciava con un'ostica, se non impossibile, impresa nel tentare di risolvere il rompicapo delle proprie sensazioni. Non era affatto banale per lui discernere vizi e desideri, dacché tendeva piuttosto a dimenticare che - a volte - bramare qualcosa non significasse necessariamente commettere un peccato. Aveva degli obblighi e delle responsabilità nei confronti di se stesso e la sua compostezza derivava perlopiù dalla sua incapacità di provare emozioni. Il suo animo filtrava qualsiasi sensazione attraverso schemi logici, rigorosi e immutabili, che attutivano qualsiasi passione e gli consentivano di sfruttare al massimo il suo intelletto e la qualità della ragione. Sfortunatamente, era chiaro che le passioni non portavano l'essere umano ad alcuna conclusione. Per quanto anch'egli in alcune occasioni provasse ira, rancore e pietà, qualsivoglia altra emozione era a lui estranea. Allo stesso modo gli era estranea la ragione per cui ogni suo cruccio si era attenuato mentre danzava insieme a quel giovane albino dai lunghi capelli intrecciati. Non aveva mai danzato in altre occasioni, per cui non poteva fare a meno di domandarsi se quel sentore di sollievo fosse un effetto collaterale della danza stessa o se esso dipendesse esclusivamente dall'aver rivisto il protagonista di molti suoi dubbi. Nikolaj non era affatto un'incessante presenza nella sua testa, ma le poche volte che vi aveva rivolto un pensiero spiccavano tra i suoi ricordi, dacché solitamente la sua testa era piena soltanto di irragiungibili utopie e malinconiche reminescenze del passato. Il fatto stesso di aver pensato, anche di rado, a qualcosa di diverso pareva un evento degno di nota... E il modo in cui aveva smesso quasi del tutto di pensare mentre danzavano era più che eclatante, quasi conturbante in realtà. Non avrebbe saputo definire i contorni di quella sensazione di conforto che aveva provato nel momento in cui il biondo si era inchinato alla fine del valzer, ma ciò che non poté ignorare fu il contorcersi del suo stomaco nel sentirlo parlare. Gli era capitato di rado di avvertire quella ripugnante sensazione di puro terrore, eppure oltre al sollievo non poteva non riconoscere la recondita angoscia che lo attanagliava. Fu quel brivido di inquietudine a portarlo a ritrarre la mano da quella delicata impercettibile stretta. E, nonostante si fosse tirato indietro per l'ennesima volta, quando alzò lo sguardo i suoi occhi incontrarono di nuovo un candido invulnerabile sorriso.

Non una parola oltre era stata proferita. Nikolaj aveva passato il resto della serata a ridere delle sue stesse battute, nel vano tentativo di coinvolgere Sigma. Si era seduto al banco e aveva ordinato da bere innumerevoli volte, tante che persino una persona accorta come Dostoevskij ne aveva perso il conto. Per quanto se ne vergognasse, il corvino era costretto ad ammettere a se stesso di non aver mai smesso di osservare il giovane albino. Nonostante fosse impegnato a mantenere vivo il sottofondo musicale del locale, i suoi occhi non avevano rinunciato a sbirciare la figura del biondo neppure per un istante. Di certo, almeno, lo aveva guardato per più tempo di quanto gliene avesse dedicato il povero Sigma, costretto a servirlo e a sorbirsi la sua euforia. D'altro canto, il proprietario del casinò non sembrava tanto dolente della presenza del biondo, anzi, pareva piuttosto che il suo animo fosse tranquillo e quasi rincuorato da tutto quel chiacchiericcio. Poi finalmente per Sigma giunse l'ora di iniziare a riordinare i tavoli vuoti e l'allegria di Nikolaj si tramutò presto in una sorta di fiacca ubriachezza. Non sembrava più folle del solito, ma aveva finito con l'appoggiare la testa pesante sul freddo banco, mentre mormorava ciò che gli passava per la mente. Una dolce e macabra cantilena si ripeteva tra le sue labbra: « Prese le spine e ne fece una corona, e la posò sulla sua testa splendente; e dove avrebbero dovuto brillare le rose, vi erano invece piccole gocce di sangue. » Il suo sguardo vispo era puntato su Dostoevskij e un sorriso calmo aleggiava sulle sue labbra. Dal suo volto era chiaro fosse rilassato come mai il corvino l'aveva visto prima. Fëdor lo stava osservando con la coda dell'occhio, mentre si teneva indaffarato a riordinare i propri spartiti. Nessun motivo in particolare lo spingeva a controllare il biondo di tanto in tanto, se non la mera curiosità. Tuttavia, neppure per errore Nikolaj aveva tentato di infastidirlo, anzi, era rimasto stranamente al proprio posto senza creare scompiglio. Apparentemente, però, qualcuno non era d'accordo nel far concludere quella serata in pace.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 12 ⏰

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