1. I Luckers

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Oggi il sole splende alto su Iparraldeko, la città dei Luckers.
I Luckers sono il popolo che è riuscito a salvarsi all'invasione dei Gons, un popolo sconosciuto di cui si sa poco e niente. Il 18 Aprile di 12 anni fa io avevo 3 anni e, mentre dormivo, sono arrivati e hanno distrutto edifici, rapito persone e fatto seccare tutti i nostri raccolti.
Mio padre è riuscito a fare scappare un centinaio di abitanti ma il resto della popolazione è morta o è rimasta lì, per non abbandonare la propria patria.
Io ovviamente non ricordo nulla di questi fatti ma è nei libri di storia, ogni adulto racconta questa storia e ci sono migliaia di quadri e altre opere artistiche che rappresentano quella orribile serata.
Io sono Liam ora ho 15 anni e mio padre, Jeffrey, è il re di questa città protetta da una cupola invisibile che però ha un leggero riflesso azzurro-blu per prevenire altri attacchi. Ho anche una sorella che si chiama Ariana, ha 4 anni in più di me ed è una bravissima guerriera, allenatrice e la ammiro tantissimo.
A 16 anni ogni ragazzo è sottoposto all'esame per entrare nella squadra di militari che combattono i Gons, loro possono uscire dalla cupola e vivere al di fuori di questa "gabbia", anche se il loro compito è uccidere questi strani alieni o scoprire da dove vengono.
Ariana è l'allenatrice che prepara le squadre a vivere e combattere fuori dalla cupola, nel mondo selvaggio, ed è spesso via come coordinatore della squadra C-17, che è formata dai migliori dell'allenamento, infatti stanno via settimane o mesi e vanno nei luoghi più lontani.
Ammettiamolo, io sono abbastanza scarso nel combattimento e mio padre mi fa eseguire delle punizioni se non riesco a completare pienamente l'allenamento, come fare trenta rampe di scale correndo o allenarmi per quattro ore consecutive.
Mia sorella dice che non sarò mai pronto e che quando mi ritroverò a dover affrontare veramente il primo Gon scapperò e sarò il disonore della famiglia, ma spero vivamente di no.
Ce la farai quando arriverà il momento, non fallirai.
Ognuno ha la propria arma da combattimento, c'è chi ha arco e frecce, spade, pugnali, ma io sono bravo con il bō, un bastone di bamboo usato in Cina e in Giappone.
Durante l'allenamento si crea come un legame tra il combattente e l'arma utilizzata, come se ci fosse una specie di strana energia che, se provata da qualcuno non proprietario dello strumento, non funziona.

Mi dirigo verso scuola quando ad un certo punto vedo davanti a me un ragazzo che fa uno sgambetto ad un'altra ragazza, che cade bruscamente e si sbuccia il ginocchio subito sotto la gonna blu oltremare. È Steven, il bullo della scuola.
Mi avvicino a lui e alla sua banda e gli urlo di andarsene.
Loro scappano perché sanno chi è mio padre, anche se odio essere conosciuto come il principe, e corro dalla ragazza per soccorrerla.
"Non mi serve il tuo aiuto, prosegui per la tua strada" dice lei quasi in lacrime.
"Buongiorno anche a lei, signorina" ironizzo. "vedo che è ben disposta a ricevere il mio aiuto."
Lei risponde con un sorrisetto ironico.
"Come ti chiami, Miss Simpatia?"
"Davvero simpatico, mi chiamo Diana comunque"
Appena suona la prima campanella la saluto e corro in classe, appena in tempo per l'appello della professoressa.
"Liam"
"Presente" rispondo alzando la mano.
Mi arriva dagli ultimi banchi una pallina di carta in testa, mi giro è c'è Steven che dice con il labiale:"Domani alle 4 al parco di fronte a scuola, io e te facciamo i conti"
Questo mi riempie di botte.

Finite le lezioni, torno a casa con il solito autobus dove incontro di nuovo Diana. La seguo per un po' di nascosto, fino a che non si ferma nella grande piazza del centro.
Non dovresti seguirla, fatti gli affari tuoi.
Mi apposto dietro un albero e lei si siede su una panchina, sta aspettando qualcuno, me lo sento. Dopo qualche minuto arriva un ragazzo con una cuffia e la maglietta nera, i jeans sbrindellati e tanti braccialetti grigi come i suoi occhi.
Devi andare via, non mi sembra un bravo ragazzo.
Cerco di ascoltare i loro discorsi, anche se è difficile.
"Quando per te è più sicuro?" dice lei.
"Tra qualche mese, quando lo stato sarà più debole" risponde il ragazzo.
In che senso più debole?
"È troppo tardi e poi..."
"Prima devi procurarmi quello che ti ho chiesto"
Il ragazzo si stava arrabbiando, anche Diana lo nota , infatti accetta le condizioni imposte.
Annuisce e va via in direzione dell'ospedale, entra lì e poi non la vedo più.
Chissà perché va all'ospedale. Magari va a trovare qualcuno o deve fare delle visite, chi lo sa.
Appena arrivato a casa, mio padre mi chiede dove sono stato e mi sgrida di non averlo avvisato, ma tanto mi rimprovera ogni giorno.
Faccio un'ora secca di allenamento nella palestra sotterranea con Ariana e dopo sono stanchissimo quindi cenetta veloce e subito in camera a studiare per il test di domani.
Stavo per andare a letto quando mi ricordo di quello che mi ha detto Steven oggi.
Dovevi pensarci durante l'allenamento Liam!
Ma la mia mente deve riposare quindi mi infilo sotto le coperte morbide del mio letto e comincio a vagare tra sogni e incubi.

Sono le 5.40 del mattino. Ho sonno ma non riesco a dormire, troppi pensieri per la testa.
Mi alzo di scatto perché sento un rumore provenire dalla sala dove faccio gli allenamenti, come uno scricchiolio acuto che mi fa venire la pelle d'oca. Sono arrivati, i Gons.
Non è possibile! Avrebbero dovuto superare per primo la cupola esterna, e poi tutta la sicurezza del Palazzo Reale. Mi avvicino alla sala, afferro il bō che appena lo tocco prese un colore azzurro-verde. Significa che ha capito che sono io.
Passo dopo passo mi preparo a combattere, apro la porta socchiusa.
È un picat, un piccolo animale con il corpo da gatto e il naso da maialino. Probabilmente è nato nella fattoria di John, l'agricoltore che abita qualche casa più avanti dal Palazzo Reale. Lui fa vivere diversi animali nella stessa stalla fino a che non si accoppiano e fanno nascere nuove specie, come questa, che a loro volta si accoppieranno con altre specie mutate a creare specie derivate da quattro animali diversi.
Mi sa che questo è fuggito dalla sua famiglia. Ogni tanto capita, ma non ne ho mai visto uno nel Palazzo Reale. Mi giro verso la finestra più vicina e capisco come ha fatto a entrare, l'ha sfondata.
Ci sono vetri per terra e addosso al picat, infatti è ferito dietro l'orecchio.
Così lo prendo in braccio e lo porto in sala infermeria, afferro il disinfettante e lo poso sopra la ferita.
Non esce molto sangue ma voglio essere sicuro che non ci sia un'infezione.
Sono molto più bravo a curare che a combattere, ora che ci penso.
Mentre avvolgo la garza facendo leggera pressione, il picat fa uno strano verso, come un pianto.
Dopo averlo medicato, torno a letto per pensare a un nome.
Non riuscirò mai a convincere mio padre a tenerlo.
Ma sì dai, ce la puoi fare.
Non credo.
Mi rimetto nel letto e mi avvolgo di nuovo nelle coperte, aspettando di addormentarmi per andare nel mondo dei sogni, dove tutto è possibile e nulla è verità.

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