2. Guai in arrivo

58 7 2
                                    

Corro più veloce che posso. Il vento mi spettina i capelli. Mi stanno inseguendo, ma non so esattamente chi lo sta facendo. È da solo? È un gruppo? Sono in un bosco umido e fitto, alberi ovunque e radici che fuoriescono dal terreno.
Inciampo in una radice e cado con la faccia a terra.

Mi sveglio di colpo. Era solo un sogno, un sogno molto reale.
George. È il nome del picat che è entrato stanotte in casa. Ho impiegato mezz'ora per trovare il nome adatto a lui, George è il nome del protagonista di una storia che mi raccontava sempre mia madre prima di andare a letto.
George era curioso, ma non riusciva a sfruttare questa sua curiosità perché era un gran fifone e non affrontava mai i problemi a testa alta, fuggiva sempre.

Vado in sala da pranzo per fare colazione, sperando di riuscire a portare in camera qualcosa da far magiare a George mentre pensavo a come farlo restare qui. In sala c'è mio padre che, appena entro, non mi saluta nemmeno. Non mi stupisco molto perché non è solito a fare queste cose.
"Oggi alle 14.15 massimo devi essere a casa" dice "non ritardare come ieri o non pranzerai".
"Ok, padre" rispondo senza voglia.
Mi dirigo verso scuola con lo zaino in spalla, ovviamente con la macchina privata di mio padre, guidata da un autista.

Oggi Diana non è a scuola e ogni minuto che passa continuo a pensare al discorso che ho ascoltato ieri tra lei e il ragazzo sospetto in piazza.

Quando lo stato sarà più debole.

Continua a risuonarmi in testa questa frase e so che è palesemente una minaccia verso lo stato, ma cos'è e quando volevano fare questo "colpo di stato"?

Troppe domande fluttuano nella mia mente confusa, quando ad un certo punto Will mi chiama dal banco dietro con un colpo sulla schiena. La sua folta chioma bionda e spettinata è la prima cosa che noti in lui e subito dopo vedi i suoi occhi di un azzurro celeste intenso, come il cielo. Lui è il mio migliore amico, fa un po' il "menefreghista" ma in realtà è molto profondo ed empatico. Mi chiede se può venire da me nel pomeriggio per fare dell'allenamento insieme e io accetto visto che so che non avrei avuto niente da fare dopo l'ora di pranzo.

Dopo una monotona lezione di storia dell'arte, comincio a piovere e capisco che mi sarei inzuppato tutto nel ritorno a casa. Ma invece mi sbaglio, perchè mio padre ha fatto mettere al suo autista un ombrello davanti alla scuola con un cartello gigante con scritto "Per Liam, dal Re".

Prendilo subito e corri via con il cartello, Liam.

Non ci posso credere, è così imbarazzante quel cartello, se fosse un padre normale, sarebbe stato perfetto e nessuno l'avrebbe notato. Ma no, perchè lui deve sempre firmarsi "Il Re" sennò pensa che le persone non si ricordino chi è e che ruolo ha nello stato.

Comincio a correre velocemente e butto il cartello a terra e piano piano si sfalda diventando una poltiglia di acqua e carta, per fortuna non l'aveva ancora visto nessuno credo.

Sotto l'ombrello mi sento più protetto dalle persone, dalla crudeltà del mondo che ha una mentalità chiusa e si sottomette agli ordini del re. Le mie nuove scarpe bianche si sporcano sempre di più, ogni passo che faccio. L'acqua che ormai raggiunge un centimetro di altezza schizza sui jeans che indosso e capisco subito che mio padre non mi avrebbe mai fatto entrare in casa conciato così.

Mentre mi fermo a riflettere, perdo l'autobus e penso di scrivere a mio padre che sarei arrivato in ritardo, ma sapevo che non mi avrebbe fatto pranzare comunque. Rinuncio a quest'idea e mi fermo a prendere un panino nel ristorante vicino al parco della scuola. Al bar incontro Diana che è ad un tavolo tutta sola e decido di avvicinarmi.

"Posso sedermi?" le chiedo.

"Oh, si certo, non c'è nessuno" risponde lei in tono triste ma non perchè sono lì, ma per un altro motivo che magari è collegato a ieri e io devo assolutamente scoprirlo. Devo capire cosa sta succedendo ma senza farle capire che ieri l'ho seguita in piazza.

"Come mai oggi non eri a scuola" dico come inzio delle "indagini".

"Problemi di famiglia" risponde lei in modo secco.

Magari ieri andava all'ospedale per questo?

"Ah e comunque grazie per avermi aiutato ieri con Steven"

OH CAVOLO, STEVEN!

"Scusa davvero, ma mi sono ricordato ora che ho un grandissimo impegno, devo andare mi dispiace!" le dico bruscamente. Mentre corro fuori, faccio cadere per sbaglio la sua borsetta che si rovescia tutta quanta a terra. La aiuto a rimettere dentro le cose quando vedo tantissimi medicinali in una busta trasparente che però prende subito con la sua mano morbida e con molti braccialetti.

Forse andava all'ospedale per questo allora? Non è il momento di pensare a queste cose Liam! Devi fare a botte con Steven, fai te!

Corro fuori alla velocità di una gazzella in fuga da un leone, anche se non sto scappando da nessuno. Arrivo in piazza in pochi minuti e sono le quattro meno un quarto, ma immagino che Steven sia già arrivato. Il mio sospetto si avvera appena vedo la sua banda di scagnozzi seguirlo come se fosse il loro idolo.

"Hey sfigato, quindi sei venuto!" mi urla lui, anche se non serve visto che siamo a due metri di distanza. Si alzano delle risatine stridule dal suo gruppo, sono in cinque persone, senza contare lui. Quello più a destra ha una faccia depressa come se seguisse Steven solo perchè era stato costretto, quello subito dopo di lui ha dei capelli rosso acceso che sfociano in un biondo cenere, quello al centro ha gli occhi verde militare abbinati ai suoi parachute pants palesemente da donna e gli altri due, probabilmente fratelli, sono vestiti allo stesso modo con una camicia blu e dei cargo beige di tre taglie in più.

È arrivato il momento di combattere Liam. Sii forte!

Steven comincia a correre velocissimo verso di me ma riesco a schivarlo facilmente, è solo l'inizio di ciò che sarebbe successo.

Prego con tutte le mie forze di riuscire almeno a non morire. Mi tira un pugno fortissimo sulla guancia e cado a terra, facendomi un altro livido. Mi rialzo subito e riesco a tirargli un calcio con tutte le forze che ho in corpo e lo colpisco dritto sul ginocchio il quale si piega all'indietro e fa urlare Steven di dolore.

Quando era a terra continuo a calciarlo così forte che lui sta per piangere. Non riesco a smettere fino a quando non arriva la polizia che mi prende le braccia e mi mette le manette ai polsi.

Non riesco a crederci. Sono stato arrestato per aver picchiato Steven, il bullo della scuola. Doveva picchiarmi lui, e doveva essere arrestato lui. Ma a quanto pare era debole, più debole di me. E' la tipica storia del bullo, fa finta di essere coraggioso, ma dentro è debole e fragile come tutti, magari problemi in famiglia.

Comunque anche se ovviamente mio padre mi farà uscire subito, non riuscirò mai a togliere questa macchia dalla mia vita, l'ha segnata per sempre.

Ora, sono spacciato.

The LuckersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora