L'Affetto

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I miei genitori si sposarono in un'età in cui gli sbagli sono ancora difficili da capire, in cui vuoi ancora sentire l'ebrezza di essere ribelle, in cui non di certo pensi a crearti una famiglia, eppure lo avevano fatto e avevano messo sù questa piccola unità in cui regnava l'amore e la pace di cui entrambi avevano nettamente bisogno, o almeno apparentemente.

Mia madre era stata cresciuta con dei valori solidi, mistici, legati alla famiglia e agli insegnamenti di doveri che una donna indipendente deve eseguire, per questo motivo non aveva mai avuto tempo di giocare con le bambole o uscire con le sue amiche. La sua pelle non era candida e intatta, c'erano caricati i visibili segni di lavori pesanti e fatica ma sembrava portarli con onore.

Mio padre aveva avuto gli stessi insegnamenti, seppur in modo più leggero. Aveva avuto più libertà di parola, di azioni e di decisioni che alla fine l'avevano convinto ad infatuarsi di una ragazza semplice e ben educata, piuttosto che qualcuna con un bel carico di denaro alle spalle.
Avevano unito le loro due forze e si erano sposati in un giorno di piena primavera, lasciandosi volare intorno i fiori di ciliegio che avrebbero adornato la loro vita rendendola fortunata.

Questa, sembrava essere una storia uscita da libri antichi, letti e riletti, e da piccolo mi piaceva tanto ascoltarli mentre la raccontavano, ogni volta che ne avevano l'occasione, ricordandomi che nella vita qualsiasi cosa poteva essere possibile sé solo vi fosse stato impegno e dedizione ma soprattutto la forza nel poter scalare qualsiasi tipo di montagna, sempre a testa alta.

Parecchi erano, però, i momenti di sconforto che, seppur ricamati da gioie regalate dal destino, in famiglia lentamente iniziavano a sentirsi e diedero vita, lentamente, a movimenti pesanti, tensioni forti e spesso a litigi accesi dove io ero quello che copriva le orecchie all'altro fratello, essendo colui più grande e consapevole, lacerandomi lentamente nell'ascoltare quelle urla forti come tamburi.

Non mi avevano mai fatto mancare nulla, io e mio fratello avevamo vissuto un'infanzia meravigliosa, fatta di giocattoli nuovi ogni settimana, vestiti all'ultima moda e tante gite in famiglia nei posti più belli, eppure quei beni materiali non avevano colmato il vuoto che sentivamo continuamente, giorno dopo giorno, lasciandolo crescere sempre di più fino a farlo diventare una voragine.

Dov'era l'affetto?

-

Mia madre scoppiò a piangere disperata non appena la porta della stanza fù chiusa dal dottor Kim.
Avevo sentito spesso le sue lacrime scendere con dei forti singhiozzi dai suoi occhi, non mi era del tutto nuova quella scena, ma sapere che la colpa stavolta era stata mia mi faceva stare male.

"Come è potuto succedere tutto questo?" Sussurrò fra i singhiozzi, mentre mio padre l'abbracciava standogli vicino "cosa abbiamo sbagliato? Diccelo, Jimin"

Scossi la testa scrollando le spalle, tenendo ancora lo sguardo basso sulle mie scarpe, pensando a cosa dire e a come dirlo.
Certo, sentivo di essere colpevole di non aver reagito bene ed essermi completamente abbandonato a mè stesso, ma forse la bilancia delle responsabilità segnava un cinquanta e cinquanta.

"Non abbiamo mai mancato a niente, è cosi Jimin? Lo sai anche tu" mio padre prese a parlare, afferrando una bottiglietta d'acqua, lasciando che sua moglie potesse berne un sorso

"Siete voi che mi avete portato qui" sussurrai annuendo lentamente

"Dovevamo Jimin, stavi soffrendo e non avevamo altra scelta se non quella di scegliere per te!" Esclamò alzando la voce, avvicinandosi lentamente al posto in cui ero seduto

"C'erano tanti modi per affrontare la mia situazione, perché richiudermi qui dentro, mh?" Sussurrai alzando lo sguardo verso il suo, captando quel leggero sentore di distacco non appena i suoi occhi si posarono nei miei.

Un padre capisce sempre quel che un figlio gli sta cercando di dire, ma non avevo bisogno di parole né in quel momento né mai.

"Perché parlavi da solo! Perché ci stavi spaventando Jimin, te ne rendi conto?" Mia madre si avvicinò di scatto, venendo ugualmente fermata da papà che gli tenne le mani sulle spalle, mentre il suo fazzoletto ormai impregnato di lacrime continuava a sfregarsi sul suo viso "noi avevamo paura di te, di quel che dicevi, di come ti comportavi, dei tuoi discorsi, di quando eri steso sù quel pavimento senza nessun segnale di vita!"

Mi morsi le labbra guardando verso la finestra
"Come mi comportavo, mamma? Come un ragazzino che non ha mai ricevuto un abbraccio? Come chi è stato lasciato a sé stesso? Come quelli che non hanno mai avuto qualcuno che si prendeva cura di loro?"

"Che stai dicendo Jimin? Questa non è colpa nostra, noi abbiamo cresciuto te e tuo fratello nello stesso identico modo, abbiamo dato valori ad entrambi ma avete preso strade differenti" annuì tirando sù con il naso, scostandosi dal corpo massiccio di papà, avvicinandosi lentamente a me "e guarda la differenza. Tuo fratello adesso studia, lavora part-time, ha una ragazza e un futuro brillante davanti a sé. E tu invece? Ci stai facendo soffrire come se non né avessimo avuto abbastanza"

"Crescere due persone nello stesso modo non significa raccogliere gli stessi frutti" sussurrai annuendo lentamente "avevamo tredici e otto anni quando voi vi urlavate dalla rabbia a vicenda lanciando piatti, bicchieri, bottiglie contro i muri. Avevamo tredici e otto anni quando mettevo a dormire mio fratello, aspettando la calma per poter dormire anche io. Avevamo tredici e otto anni quando mi svegliavo nel cuore della notte per piangere in silenzio, colpa di incubi e attacchi di panico, mentre evitavo di svegliare mio fratello".

Mi voltai verso i miei, guardando bene i loro volti pallidi, pieni di paura e ansia, ricchi di consapevolezza dei loro sbagli.
Avrei voluto così tanto perdonare i loro errori, abbracciarli e dirci che era tutto finito, riprendere i rapporti e ricominciare tutto daccapo, ma sembrava esserci un burrone fra di noi.

O vivi o muori.

"Non sono stato un figlio giusto, non lo sono ancora adesso" sussurrai indicandomi "ma nel mio futuro non vedo altro che una vita al di fuori di questo ospedale, al di fuori di farmaci e visite, siringhe dolorose e punizioni indelebili. Vedo la libertà, la serenità, degli amici, un lavoro e la normalità più senza che con voi.

Annuii sedendomi di nuovo sulla sedia posta difronte alla scrivania del dottore, dandogli le spalle, costatando che di parlare ancora non avevano avuto coraggio.
Nessuna lacrima rigava il mio viso, nessun rancore o odio provavo verso di loro, poiché erano sentimenti che avevo già toccato e oltrepassato.
D'un tratto la porta si aprì e il dottor Kim irruppe nella stanza, interrompendo quel silenzio fatto dalle loro insaziabili urla disperate piene di vergogna e scuse di cui a malapena me ne facevo qualcosa.

"Allora, signori Park, è andato tutto bene?" Sorrise leggermente il dottore, rimettendosi seduto al suo posto facendo segno di fare lo stesso ai due dietro di me

"Si, dottor Kim. La ringraziamo per l'ottimo lavoro che sta svolgendo" sussurrò mio padre, riprendendo il posto di prima, seguito subito dopo la mia madre che annuì solamente

"Si figur signor Park, il vostro Jimin è al sicuro nelle nostre mani. Inoltre a breve questo ragazzo arriverà a compiere anche la maggior età ed è un grosso traguardo per tutti noi, è cosi?"

"Cosa cambierà, dottore" sussurrai scuotendo lentamente la testa

"Jimin, cambiano molte cose. Puoi essere tu a scegliere le sorti del tuo futuro, puoi decidere sé restare ancora qui o uscire, ad esempio"

Alzai lo sguardo annuendo lentamente
"Resterò qui affinché non mi dichiarerete in grado di ritornare nella società"

Il dottor Kim sorrise allungando la mano verso la mia, stringendola delicatamente
"Questo è un grande passo, Jimin" sussurrò.

Face// YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora