CAPITOLO 1 (Parte 1)

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Mia 

Una delle mie poche certezze in questa precaria esistenza è l'amore per il cappuccino, preferibilmente con una spruzzata di cannella sulla superficie e una quantità di caffè sufficiente a placare almeno momentaneamente la mia semi-dipendenza dalla sostanza, maturata nel corso di svariate sessioni universitarie.

Sì, lo so, la gente di solito aspira ad un altro tipo di certezze, quali il sapere chi sei o quale sia la strada che ti porterà a tagliare prima il traguardo. Beh, io mi accontento di sapere che mi piace il cappuccino. Soprattutto quando l'aria profuma d'inverno e la tazza calda è un rifugio sicuro per le dita arrossate dal freddo. Sarà superficiale, ma almeno è qualcosa di solido, qualcosa che rimane saldo anche quando il mondo sembra girare dalla parte sbagliata.

O, perlomeno, questo è quello che ho sempre creduto da quando, da bambina, con l'arrivare dell'autunno e il calare delle temperature, diventava parte della routine mattutina il fermarmi col papà in una caffetteria ad un centinaio di metri dalla scuola e ordinare due dosi extralarge della bevanda bollente. Poco importa che la ragazza dietro il bancone sostituisse il mio caffè con il cacao, quello rimaneva il mio cappuccino, il nostro cappuccino.

Perciò non faticherete ad intuire che sia piuttosto destabilizzante per me il non riuscire a provare neppure un minimo accenno di contentezza, nonostante io sia seduta di fronte ad una tazza ancora intonsa di latte caldo sulla cui superficie i granelli di cannella disegnano una foglia dalle fronde sottili. Perdipiù, in un locale in cui l'ossigeno si mescola con l'allegra e romantica aria natalizia mentre fuori le temperature di dicembre non superano i sette gradi.

Davanti al mio naso, la vetrata trasparente mostra i passanti che, stretti nei loro cappotti e con le mani ben affondate nelle tasche o nel tepore di spessi guanti di lana, attraversano Corso Garibaldi a passo svelto, diretti in chissà quale luogo disposto ad offrire loro un po' di pace dall'aria fredda.

"Ehi."

Sobbalzo quando lo sgabellino accanto al mio si sposta e, un attimo dopo, la mia migliore amica, con ancora indosso baschetto in lana e cappotto, ci salta su, sedendosi sul cuscinetto grigio rotondo di fianco a me.

Mi sforzo di flettere le labbra in una bozza di sorriso. "Ehi. Non ti ho sentita arrivare."

"Sì, l'ho notato. Merda, si gela." Borbotta, mettendosi comoda e stringendosi nel solito cardigan grigio che si è beccato negli anni, da parte della sottoscritta, un numero indefinito di insulti spazianti dal "vestaglia da camera" a "giacca della nonna", sotto lo sguardo di disapprovazione della sua proprietaria, che invece pare esservi sempre più legata con il passare del tempo.

"Se oggi non fosse oggi, credo che ti direi che il freddo dà un tocco di romanticismo in più a questo periodo dell'anno. Ma oggi è oggi, perciò sì, purtroppo si gela." Mormoro, decidendomi finalmente a rovesciare mezza bustina di zucchero nella tazza ormai tiepida, mentre Gaia ferma uno dei ragazzi col grembiule rigato allacciato in vita per ordinare un ginseng.

"A proposito di questo, hai intenzione di dirmi prima o poi che è successo o pensi di tenere semplicemente il broncio fino a Natale?" Mi chiede, scrutandomi con i suoi grandi occhi azzurro cielo.

Ecco, probabilmente, se avessi dei grandi occhi azzurro cielo anch'io invece di vantare dei banali occhi marroni, o se avessi le sue morbide onde dorate al posto di una massa di anonimi capelli scuri e disordinatamente ondulati, non avrei bisogno di rifugiarmi in patetiche storie inventate e avrei ancora una storia reale degna di questo nome. Ma al destino si comanda meno che al cuore, perciò vada per occhi e capelli color cacca e per una dose d'invidia comunque pari a zero verso una delle poche persone capaci di sopportarmi più o meno da dieci anni, nonostante gli occhi azzurri e i boccoli d'oro.

Quando si inciampa in una storia d'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora