«Quindi, con Will, tutto okay? Avete risolto?», chiese mia madre mentre cercava di masticare una foglia di insalata. Speravo che i miei genitori non mi avessero sentito urlare, e soprattutto non mi avessero sentito parlare della droga o della dipendenza da alcool di William. Per un piccolo lasso di tempo ho pensato che stare insieme non era una buona idea; che dovevamo lasciarci. Ma sapevo già che avrei provato troppo dolore e lui anche. Forse, avrebbe peggiorato la sua dipendenza.
«Sì. Litigate da coppie, credo sia una cosa normale. Una volta in un libro ho letto che non è normale se in una coppia non si litiga», le risposi.
«Ti ho vista tanto arrabbiata con lui. Di solito non litigate mai».
«È che ho accumulato troppo stress, mamma. Quindi, ho riversato tutti i miei problemi su di lui. E poi, come ti stavo dicendo prima, litigare insieme al proprio partner a volte fa bene, può rafforzare la coppia». Mi sentivo come una terapista a dire quelle parole.
«Lo sai che con me e con tuo padre puoi sempre parlare, vero?».
«Certo», mentì. Non era così facile parlare con loro. Magari ti ascoltavano ma non davano i giusti consigli. Era come se parlare con loro non facesse altro che peggiorare la situazione. Loro ti dicevano un'opinione e tu rimanevi a bocca aperta cercando di non urlargli contro. Non so se è perché siamo di due generazioni diverse o se sono io quella sbagliata. Fatto sta, che a volte, parlare con loro poteva solo peggiorare le cose. Preferivo parlare e sfogarmi con Mary. Lei sì che è una buona ascoltatrice e sa anche darti i giusti consigli.
«Hai già iniziato la terapia nuova; ricordi che domani bisogna di nuovo andare in ospedale?».
«Sì sì. Per ora non ho nessun sintomo», risposi.
«Potrebbe accompagnarti William». Mio padre, in tutto ciò, rimase completamente in silenzio. Comunque, riguardo a William, era meglio se per il momento mantenevamo un po' le distanze. Non ci siamo lasciati ma vorrei distaccarmi da lui per un po' di tempo.
«Non può. Ha gli allenamenti di calcio che questo sabato ci sarà la prima partita del campionato. Mi accompagna Mary, tanto», risposi a mia madre.
«Domani ti metteranno in una stanza con altre persone che fanno parte di questa terapia sperimentale. Vi dovranno fare una flebo di un medicinale di cui non ricordo il nome. Mi raccomando, cerca di comportarti bene, signorina. Ricordi cos'è successo l'ultima volta?». Mi venne da ridere. Avevo forse dodici anni e stavo facendo il mio solito ciclo di chemioterapia. Un bambino della mia età prese una delle mie bambole, e alla fine io gli diedi un bel morso sul dito. È stato molto divertente, ma non per lui. Anche da piccola, sapevo già che "il fare amicizia" non faceva parte della mia persona. O almeno, non volevo che ne facesse parte.
«S'è l'è meritato. Tutti sanno che non si toccano le bambole alle bambine». Sorrisi.
«E ti ricordi di quella volta che hai tirato i capelli a quella bambina... come si chiamava, già?», chiese aiuto a mio padre che finalmente parlò.
«Sally».
«Oddio Sally! Che bei ricordi che ho con lei! Quella stupida bambina. La odiavo. Letteralmente. Non faceva altro che vantarsi delle sue bambole più belle delle mie e che gli infermieri volevano più bene a lei che a me», risposi ridendo.
«Era proprio una bambina insopportabile». Ci mettemmo tutti e tre a ridere.
Era bello poter passare del tempo in famiglia. Quando hai il cancro, pensi che ogni momento possa essere l'ultimo. E quindi ti sforzi nel viverlo. Ti sforzi di ricordare ogni piccola risata, ogni battuta, ogni movimento delle altre persone.
STAI LEGGENDO
INCASTRO PERFETTO
ChickLitDiana Margaret Smith è una ragazza di diciannove anni, malata di cancro ai polmoni. Passa le sue giornate rinchiusa fra le mura di casa. Un giorno quasi come gli altri di settembre, vede una famiglia trasferirsi nella casa accanto alla sua. Uno dei...