Capitolo sei

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Da quanti giorni tornava lì?

Quante volte si era seduta su quello sgabello e aveva lasciato che le mani scivolassero sulla tastiera e le note si levassero nell'aria? Tanti, troppi decisamente, eppure ogni giorno andava lì.

Ogni giorno si alzava e andava a lezione, come se qualcosa avesse allentato la morsa su di lei e la lasciasse finalmente un po' libera.

Si perse nella musica, muovendo la testa a ritmo e lasciando che la melodia di Yiruma si spargesse nel piccolo auditorium: unico luogo dove suonava, unico luogo dove si lasciava andare e scappava dalla presa del nulla.

Poggiò le dita sugli ultimi tasti, lasciando che le ultime note si diffondessero e piegò appena le labbra al solitario applauso che si levò subito; si voltò, sicura di trovare come sempre Mark, pronto a importunarla con la sua positiva e maledettamente convincente personalità, ritrovandosi però a osservare la figura della sua professoressa.

Aveva un tiepido sorriso sul volto, mentre finiva di battere le mani e si sistemava gli occhiali: "Non hai perso il tuo tocco" mormorò, facendo un passo verso di lei e sospirando, raggiungendo il palco e guardandola dal basso: "Sono contenta di vederti di nuovo seduta lì."

"Io non..."

"Harper, va benissimo così" Harper la fissò, guardandola stringersi nelle spalle e scuotere appena la testa: "Si tratta di un piccolo passo, ma è così che si va avanti e si migliora, per piccoli passi" si fermò, recuperando la borsa e tirando fuori una manciata di fogli, allungandone uno verso di lei e tenendolo fermo, finché Harper non si decise a prenderlo: "Senti, fra un paio di mesi si terrà un concorso interno della scuola, mi hanno consegnato i volantini proprio oggi."

"Io..."

"Io te lo lascio, hai tempo per decidere" la interruppe la donna, fissandola sempre con le labbra socchiuse in un sorriso: "Harper, non buttare via quello che hai."

Harper annuì, osservando il foglio fra le sue mani e la chiassosa grafica colorata che annunciava un contest di piano, interno alla scuola: non era raro che li facessero, per spronare gli studenti a fare di più e i premi in palio erano buoni da usare o libri di testo.

Se non ricordava male, si vociferava che in un concorso simile era stato messo come premio un violino, ma sembrava che quella fosse solo una diceria che scorreva per i corridoi della Blair.

Harper alzò la testa, osservando la professoressa uscire dall'auditorium proprio mentre Mark entrava: lui la lasciò passare e, dopo che la porta doppia si fu chiusa, si voltò verso di lei con il suo solito sorriso allegro e aperto in volto: "Ehilà!" esclamò, alzando una mano in segno di saluto e facendo qualche passo verso di lei: "Hai voglia di andare a mangiare quei biscotti buonissimi?"

Doveva andare a mangiare biscotti con quello che, a tutti gli effetti, era uno stalker?

No, decisamente no. La soluzione più intelligente e consona sarebbe stato mandarlo a quel paese e andarsene, ma si ritrovò ad annuire, infilando il foglio nella borsa e scendendo dal palco.

Rimasero in silenzio, attraversando i corridoi tranquilli della scuola: ora che le lezioni si erano conclusi quasi tutti gli studenti si erano rintanati nelle sale prove o erano andati chissà dove.

In pochi ciondolavano nei corridoi senza far niente.

Raggiunsero l'uscita e Harper avvertì il suono della pioggia ancor prima di vederla effettivamente: "Ah, mi sa che non andremo" mormorò Mark, facendo qualche passo e uscendo sotto l'acqua, offrendo il viso verso il cielo, socchiudendo gli occhi e tenendo le labbra piegate nel suo solito sorriso: "Che bello..."

"Ti ammalerei" decretò Harper, scuotendo il capo e fissando il cielo carico di nuvole, mentre stringeva con maggior forza la cinghia della sua borsa.

Se chiudeva gli occhi poteva vedere la strada bagnata, il rumore della pioggia contro il finestrino dell'auto e poi il rumore assordante, la sensazione di essere finita dentro una centrifuga e, infine, il nulla.

"Tranquilla, non succederà" mormorò Mark, lasciando andare un sospiro: "Che c'è?" le chiese, facendole riaprire gli occhi con quella domanda e ritornare al presente.

"Stava piovendo anche quel giorno" disse Harper con la voce atona e piegando appena le labbra in un sorriso: "Avevo preso la macchina di mio padre e stavo tornando al dormitorio, non mi ricordo dove ero andata ma non credo fosse importante" si fermò, prendendosi il labbro inferiore fra i denti e tenendo lo sguardo fisso davanti a sé: "Ero a un incrocio e la pioggia era molto più forte di adesso, da qualche che so l'altro guidatore non ha rispettato la precedenza e abbiamo avuto un frontale" si fermò un attimo, giusto per far scivolare via il ricordo dell'auto che le veniva contro e la sensazione del mondo che si ribaltava, la testa che le doleva improvvisamente, il corpo che sembrava si squarciasse.

Il dolore, per un breve attimo, era stato così forte e insopportabile ma, poi, era sparito.

Tutto era andato via e lei si era ritrovata in quel buio infinito, in quel nero senza capo né coda, finché non aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata nel letto dell'ospedale.

L'avevano informata dell'incidente, del destino avvenuto all'altro conducente ma tutto ciò che lei sentiva e vedeva era quel mare vischioso e oscuro in cui si era ritrovata, fino all'arrivo di quel fastidioso ragazzo che adesso l'ascoltava in silenzio.

"L'altro so che è morto sul colpo: non so niente di lui, non so nemmeno se era uomo o donna. Io invece sono morta per tre minuti e quattordici secondi, in pratica il tempo che hanno impiegato a rianimarmi: è stato come affondare nel niente. nel buio totale. Non c'era nulla dall'altra parte e, quando ho riaperto gli occhi, me lo sono portato dietro come un mostro che mi avvolge e mi stritola."

Era la prima volta che lo diceva ad alta voce, la prima volta che spiegava quello che aveva visto e, senza un perché apparente, le tornarono a mente le parole che Mark le aveva detto parecchi giorni prima: "Non l'ho mai detto nemmeno nel gruppo di auto-aiuto. Tu come..." si voltò, aspettandosi di trovarlo ancora al suo fianco ma lui non c'era più.

Ancora una volta era sparito senza dirle alcunché, senza fare il minimo rumore.


a/n: e come ogni venerdì, ecco qua il nuovo aggiornamento di tre minuti, quattordici secondi. Le melodie che suona Harper sia in questo capitolo che nel precedente, sono le mie preferite per quanto riguarda le musiche da pianoforte.

Specialmente quella di Yiruma, River flows into you, ha un posto speciale nel mio cuore.

Detto questo, un altro tassello della storia di Harper e Mark è stato aggiunto.

Come sempre, se il capitolo vi è piaciuto lasciatemi pure un commento e una stellina per farmelo sapere e per permettermi di crescere sulla piattaforma; altra cosa che dico sempre: chiedo scusa per eventuali errori che ho lasciato dietro io, giuro!, controllo sempre ma loro si nascondono al mio occhio.

Alla fine di tutto questo, vi do appuntamento a venerdì prossimo con il nuovo capitolo.


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Tre minuti, quattordici secondiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora