Capitolo due

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Si strinse nel maglione nero, osservando il mondo all'esterno del dormitorio: quella parte di Nashville era un vero e proprio schifo.

I palazzi rossi dei dormitori della Vanderbilt, l'università di Nashville, dominavano l'ambiente assieme ad alberi spogli e zone di erba morta, più tendente al giallo che al verde. Tutto il resto era occupato dai parcheggi.

Se fosse uscita dal cortile del dormitorio, mettendo i piedi sulla 18th Avenue avrebbe visto i grattacieli della città sullo sfondo della strada, proprio alla fine della discesa su cui erano costruiti i palazzi dei dormitori e che, continuando, avrebbe portato alla sua scuola.

Il luogo in cui sarebbe dovuta andare.

Fece scivolare lo sguardo verso l'alto, guardando la strada che si inerpicava sulla collina e poi dette le spalle a tutto: sarebbe dovuta andare a lezione, ma invece i suoi piedi cominciarono a dirigersi nella direzione che l'avrebbe portata alla sua scuola.

Non sarebbe andata a lezione, però.
Risalì la piccola collina con il fiato spezzato, osservando le villette, alla sua destra, che presero il posto della zona residenziale universitaria: in verità anche quelle case erano possedimenti della Vanderbilt ed erano le sedi delle varie confraternite.

Alla sinistra, invece, altri edifici in mattoni rossi occupavano lo spazio, molto più piccoli del complesso dove lei viveva: in quella zona, poi, il verde dominava di più l'ambiente. Sembrava assurdo vedere piante rigogliose a pochi passi da quelle scheletriche e secche che occupavano lo spazio verde del dormitorio.

Continuò a camminare fino a raggiungere il punto in cui la diciottesima si incrociava con un viale più grande e lei girò a sinistra, proseguendo per la strada che l'avrebbe portata alla Blair, la scuola di musica dove era stata accettata.

Il giorno in cui era arrivata la lettera aveva fatto i salti di gioia, aveva gridato come un'ossessa e ballato con i suoi genitori...

Ora le sembrava tutto lontano, le sembrava tutto nascosto dietro un velo mentre il buio totale e annientante l'avvolgeva come una cappa.

Si strinse nelle spalle, attraversando il viale e raggiungendo il lato opposto, riprendendo poi a camminare e osservando le auto che sfrecciavano nella via, raggiungendo velocemente un parcheggio e osservando i palazzi che lo delimitavano e formavano una U.

Si fermò all'ingresso del piazzale, osservando le insegne dei locali che erano presenti lì e diresse i suoi passi verso uno di questi: osservò la vetrina ampia e la tenda nera su cui svettava a lettere bianche il nome del locale, mentre un paio di tavolini in ferro nero era stato posizionato all'esterno.

Inspirò l'aria e il suo naso venne solleticato dal profumo dolce e carico dei biscotti appena sfornati: entrò e osservò l'ambiente bianco e rosa, mentre il suo arrivo fu annunciato da un trillo di campanello.

"Buongiorno" la salutò il ragazzo dalla parte opposta del bancone, con la maglietta nera che riportava il logo del posto e un cappellino nella stessa tinta sopra i capelli corvini.

Harper lo salutò con un cenno del capo, osservando il monitor appeso allo schermo con il menu esposto nero su bianco: "Prendo la box da sei" dichiarò, recuperando il portafogli dalla borsa a tracolla e passandogli la carta di credito.

Aveva fame? No.

Sarebbe stata male dopo aver mangiato sei cookies giganteschi? Assolutamente sì.

Le sarebbe importato? Assolutamente no.

Ormai non le interessava più nulla, quindi perché preoccuparsi di quel piccolo dettaglio: si sarebbe strafogata di biscotti e si sarebbe conclusa lì. Il ragazzo le chiese quali tipi di biscotti voleva e lei optò per quelli più carichi e schifosi: non le erano mai piaciute le cose molto dolci, quindi si stava letteralmente facendo del male da sola.

Tre minuti, quattordici secondiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora