Capitolo 6

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Era quasi arrivato ottobre. Il freddo iniziava a farsi sentire. L'aria era più gelida del solito. Ci trovavamo davanti al portone di casa Wilson, avevamo più volte provato a bussare, ma nessuno era in casa. Quando stavamo per andarcene, un Range Rover nero parcheggiò nel vialetto. Era Elizabeth.
"Detective, non mi aspettavo di trovarla qui oggi", mi disse appena scese dalla macchina.
"Sono solo venuta a controllare come stava", mentii.
Elizabeth prese tre borse della spesa e la aiutai a portare le bottiglie di acqua in casa.
"Come vuole che io stia? Hanno ucciso mia figlia, il suo corpo è stato ritrovato massacrato una settimana fa e devo ancora organizzare il suo funerale", spiegò mentre posava le buste di cartone sul tavolo della cucina.
Fred e Robert rimasero sempre dietro di me come dei cagnolini. Ero il loro capo in quel momento, ma sentivo la necessità di avere qualcuno al mio fianco. Nonostante questo, continuai a parlare con Elizabeth.
"Quando si terrà il funerale?", chiesi.
Elizabeth si sedette sul divano. "Il primo di ottobre. Che cosa meravigliosa, vero? Organizzare il funerale della propria figlia uccisa brutalmente da non si sa neanche chi". Sembrava sul crollo di una crisi isterica. Chissà quanta confusione aveva per la testa.
In quel momento mi ricordai del funerale di Ross. Un dolore lancinante mi trapassò il petto.
Mi sedetti sul divano vicino a lei, mentre dissi a Fred e al novellino di rimanere in cucina. Avevo bisogno di parlare con lei, come se fosse una mia amica di lunga data.
"Suo marito è a lavoro?", chiesi. Lei sorseggiò un po' di vino da un bicchiere di cristallo, che poi riappoggiò sul piccolo tavolo.
"Sì. Quel pezzente non so neanche come abbia il coraggio di andare a lavorare dopo che nostra figlia è stata uccisa".
Feci un sospiro.
"Posso chiederle una cosa, Elizabeth?"
"Certo. Qualsiasi cosa detective".
"Può chiamarmi Freya. Perché non avete denunciato la scomparsa di Amanda?"
"È stata una decisione di mio marito. Avevamo litigato per tutto il giorno. Pensava che Amanda fosse semplicemente uscita un paio di giorni con quel Jacob per svagarsi. Ma io sentivo che c'era qualcosa che non andava. Aveva lasciato il telefono e i suoi documenti a casa. Sa... forse anche un po' d'istinto materno". Dovetti trattenere un attimo il respiro.
Le misi le mie mani sopra le sue. Un tentativo di conforto.
"Sa chi è Alexis Collins, vero?. Cercai di usare un tono dolce. Non volevo fare la parte della poliziotta cattiva in quel momento.
Per qualche minuto, prima di rispondere, Elizabeth stette in silenzio.
"Sì. E a quanto pare lo sa anche lei visto che ne stiamo parlando. Io e Peter abbiamo provato per un sacco di tempo ad avere dei figli, ma non potevamo. Almeno... io non potevo". Fece un respiro profondo.
"Volevamo chiedere a qualche associazioni di madri surrogate, ma le cifre erano enormi, non potevamo permettercelo. Peter, era rimasto in buoni rapporti con la sua ex moglie. Anche io l'avevo conosciuta, al nostro matrimonio. Non ero mai stata una moglie gelosa e possessiva... volevo così tanto un figlio e Alexis si propose, senza ricevere in cambio nulla".
"Tu e Alexis vi frequentate ancora?", chiesi.
"No. Da anni ormai. Avevamo avuto una brutta litigata circa dieci anni fa. Alexis voleva dire la verità ad Amanda, ma io e Peter la consideravamo ancora troppo piccola. Avevo paura la mia bambina non avrebbe capito". Una lacrima le rigò il viso.
"Amanda non seppe mai di questa cosa. Lei sapeva che era figlia mia; che l'avevo partorita io", continuò singhiozzando.
"Lei è la sua vera madre. L'ha accudita, le ha dato un tetto sopra la testa...", cercai di dire ma lei finì la frase.
"Sì, e l'ho anche fatta uccidere. Bella madre che sono vero?". Si alzò di scatto dal divano. Era arrabbiata con se stessa. Si sentiva in colpa.
"Non è colpa sua, Elizabeth", era l'unica cosa che riuscì a dire, ma fortunatamente cercò di calmarsi, e si sedette di nuovo vicino a me.
"Peter continua a fare la sua vita come se non fosse successo niente. Come se nostra figlia non fosse morta. Quando arriva a casa non riesco neanche a guardarlo in faccia. Piango per tutta la notte e lui dorme tranquillamente". Elizabeth inizia a piangere. Appoggia la testa sulla mia spalla.
"A volte credo che sia stato lui ad ucciderla", disse a bassa voce. Io rimasi in silenzio per un paio di secondi.
"Perché avrebbe dovuto farlo? Era suo padre, e credo che amasse sua figlia", risposi.
"Non lo so. A volte mi viene questo pensiero perché non so come faccia a fare finta di niente".
"Peter conosce Jack Russel? Il padre del ragazzo di Amanda", chiesi.
Elizabeth si fermò un attimo a pensare.
"Jack Russel... Jack Russel...", ripeteva in continuazione, cercando di ricordare.
Iniziò a fare avanti e indietro per la stanza.
"Aspetti un attimo. Vado a prendere una cosa", disse prima di sparire dal soggiorno.
Mentre aspettavo il ritorno di Elizabeth, cercai di guardare cosa Fred e il novellino facessero. Stavano semplicemente chiacchierando.
Forse Fred ha trovato un nuovo amico, o forse si stava solo lamentando di quanto andasse male il suo matrimonio. Il novellino invece, iniziava a piacermi. Non parlava molto, ma ascoltava sempre attentamente.
Elizabeth tornò in soggiorno e mi porse tre lettere bianche. Erano sigillate e avevano un simbolo al centro fatto con la cera. Un cerchio rosso, una croce in mezzo e una grande R.
"Erano arrivate per posta circa due mesi fa. Chiesi a Peter chi le avesse spedite e lui mi fece il nome di Jack Russel. Ecco dove l'avevo già sentito. Non so a quanto possano servire, ma io di certo non me ne faccio nulla".
"Posso tenerle?", chiesi immediatamente.
"Certo. Peter non le ha neanche aperte. Le aveva lasciate dentro la cassaforte di famiglia. Non penso che gli interessino". La ringraziai con affetto e riposi le tre lettere dentro la tasca interna del mio giubbotto di pelle nero.
Non vedevo l'ora di sapere cosa ci fosse dentro. Dovevo scoprire assolutamente che cosa significasse quel simbolo fatto di cerca lacca rossa.

LO STRANO CASO DI AMANDA WILSONDove le storie prendono vita. Scoprilo ora