Capitolo 8

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Il cinguettio degli uccellini mi svegliò. Ero ancora stravaccata sul divano, con le tre buste appoggiate sul tavolino. Guardai fuori e notai che aveva smesso di piovere. Le strade erano bagnate. Il riscaldamento non era acceso e in casa iniziava a fare un po' freddino, così decisi di coprirmi con la prima felpa che trovai nell'armadio. Era il trenta di settembre. L'indomani ci sarebbe stato il funerale di Amanda, ma oggi ci dovevamo occupare del suo armadietto; chissà che cosa poteva nascondere una ragazza di diciott'anni.
Penso a sua madre. Non so come ci si possa sentire a perdere una figlia, e soprattutto avere il coraggio di guardarla con la testa fracassata. Il medico aveva detto che era stata colpita più o meno dieci volte da un martello; ma prima provarono a soffocarla con una busta di plastica. Ricordai gli occhi di sua madre. Occhi azzurri che riflettevano il colore rosso del sangue sul corpo di Amanda. Occhi che sanguinavano.
Io e Ross sognavamo di avere dei figli. Se fosse stato un maschietto, l'avremmo chiamato June; se invece fosse stata una femminuccia, l'avremmo chiamata Veronica. Amavamo sognare il nostro futuro. Amavamo progettare e parlare di ogni piccolo dettaglio. Le nostre due famiglie ci avevano supportato per qualsiasi cosa; ci avevano dato una mano a pagare e preparare le nozze; ci avevano aiutato a comprare una dolce casa... dove alla fine ci avrebbe vissuto una sola persona. Una lacrima mi rigò il viso. Era come se Ross fosse ancora accanto a me in quel momento. Che mi toccava la mano, che mi abbracciava, che mi faceva sentire protetta. Era come se la mano della sua anima incrociasse perfettamente la mia. Le dita che si cercavano. Gli occhi che guardavano ogni singolo dettaglio della sua pelle. Immaginavo la sua voce dirmi:"sono qui, accanto a te. Ti seguo in ogni momento della giornata".
Feci un respiro profondo per contenere tutto quel dolore che stava facendo ribollire il sangue che passava nelle mie vene. Devo concentrarmi sul lavoro, o sarei finita per scoppiare. Il lavoro, era diventata la via di fuga da tutto quel dolore che ancora dopo sei anni mi portavo dentro. Si, ero sempre stressata. Avevo provato la psicoterapia, ma non faceva altro che ricordarmi che a trent'anni ero già una donna vedova.
Mentre mi stavo lavando i denti, il mio cellulare iniziò a vibrare. Era Fred.
"Pronto?"
"Devi venire subito in centrale. Ora!". Staccò il telefono prima di darmi la possibilità di chiedere spiegazioni. Fred sembrava davvero preoccupato dal suo tono di voce. Mi vestì in fretta, con le prime cose che trovai nell'armadio, indossai la mia solita giacca di pelle, presi le chiavi di casa e ovviamente il distintivo. Era arrivato il momento della giornata di rimettersi al lavoro.
Andai in commissariato facendo il più presto possibile. Chissà cos'altro era successo. Sicuramente qualcosa di importante; magari avevano trovato nuove piste per il caso di Amanda, visto che è l'unico caso a cui stiamo lavorando.
Entrai in centrale e mi diressi verso l'ufficio del capo. Fred e Robert erano già lì. Potevo sentire la tensione che girava in quella stanza anche attraverso i vetri.
"Cos'è successo?", chiesi subito.
Il capo mi mostrò una foto. Non potevo credere ai miei occhi. Mi sedetti su una sedia per non svenire. Bevvi un bicchiere d'acqua e cercai di riprendermi. Non potevo veramente crederci. Ricordavo ancora la mia mano sopra la sua.
"L'ha trovata il marito, ieri sera. Non sappiamo perché l'abbia fatto; molto probabilmente era depressa per la morte di sua figlia..."
"O perché sapeva qualcosa di troppo", aggiungo, alzandomi dalla sedia.
La madre di Amanda si era impiccata nella sua stessa casa.
"Cosa intendi dire?", chiese il capo.
"Elizabeth Wilson mi diede queste tre buste, sono di Peter Wilson, mandate da Jack Russel; ma Peter non le aprì mai. Mi sono state date chiuse. L'omicidio di Amanda era stato meditato da qualcuno. Alle 23:58, doveva morire. Poi c'è un estratto conto della carta di Jack Russel. Centomila dollari gli sono stati versati da un utente sconosciuto e senza una causale, proprio il giorno in cui Amanda è deceduta", risposi. Quei tanti soldi mi fecero pensare subito a Smith.
"E se la morte di Elizabeth Wilson non fosse stato un suicidio, ma un omicidio?", continuai. Qualcuno stava nascondendo qualcosa. Qualcosa di molto grande per mettere fine alla vita di due persone. Certo, Elizabeth poteva anche essersi tolta la vita per colpa della grande disperazione, ma il mio sesto senso mi diceva che c'era qualcos'altro sotto.
"Quel simbolo rosso l'ho già visto da qualche parte", intervenì il novellino.

LO STRANO CASO DI AMANDA WILSONDove le storie prendono vita. Scoprilo ora