7

278 14 22
                                    

Ho recuperato tutto il sonno che avevo perso durante le nottate a caccia di rapinatori. In più dovevo riprendermi da tutto quello che mi aveva raccontato la mia piccola amichetta ologramma. Per farla breve, il letargo degli orsi è niente in confronto al lungo pisolino che ho fatto in queste due settimane. Ho russato giorno e notte. E una volta fuori dalla tana mi sentivo meglio. Ero al massimo dello splendore. Aspettavo soltanto che Spiderman si facesse vivo. Ma ho aspettato un'altra settimana e niente. Sapevo di dover essere paziente, Lyla mi ha raccontato che è molto impegnato, è un tipo riservato ed ha un carattere sensibile in fondo. Ho aspettato e quando finalmente è arrivato, ho pensato tra me e me "Lyla l'ha picchiato perché non aveva il coraggio di venire".
Perché in effetti le condizioni in cui è piombato sul mio terrazzo sono pessime. La sua tuta è piena di squarci, respira affannosamente e perde sangue. Ma un ologramma non avrebbe mai potuto fare questo.
Apro velocemente la finestra correndo da Spiderman.

«No me toque!», mi urla contro quando mi avvicino.

Prendo le distanze. Non deve essere piacevole essere in quello stato, lo capisco. Rientro dentro, prendo il kit di pronto soccorso poi torno da lui.

«Posso...», cerco di avvicinarmi.
«Non sei un medico!», stringe i pugni lui.
«Lo so...so di non essere un medico ma ho visto come si fa-».
«Che ne sai tu di come si fa!? Tu fai solo interviste. Puoi vedere quanti spargimenti di sangue vuoi. Ma resta il fatto che...Non. Sei. Un. Medico! Faccio da solo. Dà qua», dice strappandomi di mano le bende e il disinfettante.
«Hai ragione, non sono un medico. Però...non faccio neanche interviste», gli confesso.

Sospira dolorante.

«Lo so, Lyla me l'ha detto», sbuffa lui cercando di fasciarsi le ferite.
«Quindi ti ha detto anche-».

Il mio cuore batte forte.

«Hm? Che altro doveva dirmi?», mi chiede con tono arrabbiato piuttosto percettibile.

Non riesco a stare inerme mentre lui si contorce cercando di fare da solo.

«Che amare non è sbagliato. E farsi aiutare da chi ti vuole bene è altrettanto appagante», gli dico sperando che si lasci dare una mano.

Mi avvicino.

«Ti posso aiutare?», gli chiedo dolcemente.
«Ce la faccio da solo».

Lo guardo con compassione.

«Non guardarmi così».
«Scusa, non l'ho fatto apposta. Ma non ti va bene niente. E "Non mi toccare" e "Non mi aiutare" e "Non guardarmi così" e che palle».

Mi lancia un'occhiataccia.

«Me ne torno dentro allora? Che sei venuto qui a fare se non mi vuoi», lo provoco.
«Il tuo balcone era più vicino di casa mia».
«Eppure, sai, mi è parso che hai fatto un bel tragitto. Non ho sentito scontri mortali qui vicino quindi è  piuttosto ovvio che arrivi da lontano. Saresti potuto entrare in un terrazzo più vicino. Come mai qui?».
«Ups beccato. È troppo forte, ha imparato dalla meglio», interviene Lyla.
«Stupido ologramma!», urla spegnendo l'orologio.
«Togliti la tuta e fatti aiutare».
«Mai».
«Perché?»
«La mia identità deve rimanere un segreto».
«Perché?»
«Por qué ci conosciamo da poco e non mi fido».
«Non può essere la vera ragione».
«Está bien, está bien, como quieras. Ho paura! Ho paura che se ti faccio vedere chi sono non mi accetterai. O peggio se succedesse il contrario. Se finisco per amare qualcuno finirei di certo per perderlo! Non puoi amare se fai il mio lavoro. Ma non posso lasciare la città senza un aiuto solo per un mio bisogno egoistico».
«Tu non sei egoista. Sei troppo stressato. Hai bisogno di ritagliare del tempo anche per te. Finirai schiacciato dagli altri».
«No».

𝐇𝐞𝐥𝐩 𝐦𝐞! // 𝐌𝐢𝐠𝐮𝐞𝐥 𝐎'𝐇𝐚𝐫𝐚 𝐱 𝐑𝐞𝐚𝐝𝐞𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora