Quattro

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Oggi

Il tempo scorre troppo veloce, quasi come se ci fosse paura di non vivere abbastanza e bisognava stare sempre in azione per ogni cosa che ci capitasse a tiro. Io avevo vissuto lentamente gli attimi che avevo a disposizione, fin dal primo giorno di scuola la mia vita era cambiata.

Ho lottato con le unghie e il sangue che scorre nella pelle per tenermi in piedi, essendo ancora qui qualcosa significava. Non sono forte.

Sono solo una persona che non si abbatte dalle debolezze, se le porta con sé per trasformarle in forza e tutti questi anni passati qui in Svizzera, ho avuto occasione di impossessarmene a mio titolo.

Sono di partenza di ritorno, mi avevano trasferito in italia come guardia penitenziaria "giurata" in due carceri nella città di Palermo, Pagliarelli e Ucciardone.

Fino ai diciotto anni non conoscevo la parola futuro, per me era l'incognita che non riuscivo a oltrepassare la linea per farci una sbirciata. Ero legata ad un filo tra passato e presente.

Ancora sono in quella fase, vivo il presente ma archiviando alcuni eventi del passato riesco a restare in equilibrio con la mente. Devo essere abbastanza cosciente per abbattere quelle barriere, respirare aria fresca.

Sto tornando a respirare la mia patria, la città dove sono nata e vissuta per tanti anni, una volta maggiorenne avevo pensato di andarmene per stare bene.

La facilità con cui sono stata catapultata nella mia realtà interiore, ho riscontrato difficoltà che non conoscevo e sono a piena conoscenza di quello che sono.

Con la valigia tra le mani e uno zaino in spalle, varcai le porte scorrevoli degli arrivi ed esco allo scoperto, nelle facce calorose che sorridono, non guardando nessuno dei presenti che aspettavano.

Nessuno sapeva di questo trasferimento, lo avevo mantenuto segreto per fargli una sorpresa, il calore umido si sente nella maglia facendomi sudare.

Superati i gruppi di famiglie, persone che aspettano i loro affetti, esco dall'aeroporto per fermare un taxi libero.

«Buongiorno» saluto al signore che stava fermo con le mani nelle tasche.

«Buon salve signorina! Dove la porto?» esclama entusiasta di vedere un volto amico che si precipita su di lui. Sorride calorosamente e toglie dalle mie mani la valigia. I suoi occhi color miele si illuminarono, pelle abbronzata e capelli grigi mossi.

«E' un tassista vero?» domando con sospetto guardando l'uomo. Chiude il cofano posizionandosi davanti a me per guardarmi confuso.

«Non si fida?» domanda illusorio. Smette di sorridere notando il mio sguardo severo rivolto sul suo volto.

«Senta io devo andare in carcere a lavorare. Non voglio perdere tempo pe-» con frustrazione venni interrotta.

«Ehi ehi! Sì sono un tassista incaricata dal carcere. La direttrice ha voluto che qualcuno la andasse a prendere» risponde sopra alle mie parole. Ammutolisco. «Andiamo» concludo senza rivolgergli occhiata.

Per tutto il tragitto ho osservato la città, non avevo mai pensato se potesse cambiare qualcosa ma è rimasto come sempre. Più caotica di quanto pensavo.

Arrivati davanti, ai muri giallastri di cinta, antichi di millenni, i cancelli si aprono al nostro arrivo ed entriamo dentro.

Delle figure vestite in divisa sono fermi nel cortile ad accogliermi, tra questi c'è la direttrice in piedi che fissa l'auto con rassicurazione. Il maresciallo si avvicina alla macchina aprendo lo sportello, il suo viso spigoloso molto severo saluta. Scendo dal veicolo con la giacca accomodata al braccio.

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