Venticinque

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Attimi, bastano quelli per chiudere la mandibola in una morsa. Secondi, bastano per contarli nella propria mente prima di agire con impulsività. 

 La giornata era partita con un'aria strana, qualcosa dentro di me stava cambiando. Non riesco a capacitarmi dove non riuscivo a vedere, quello spiraglio che offusca la mia vista.

Non riesco ad andare oltre gli schemi. Qualcosa mi sta facendo ribollire dentro di me, una sensazione che mi ha attanagliato dentro il cuore per il resto della mattinata.

Un battito mi mancava, non lo sentivo dentro la mente, e sembrava un punto di allarme. La risposta è giunta forte alle mie orecchie quanto ho messo piede nell'ufficio della direttrice, o meglio del direttore.

L'ho visto seduto dietro la scrivania a leggere cartelle con i dati dei detenuti e leggeva sentenze dei processi.

Il suo sguardo si alza al mio, sono rimasta impalata davanti alla porta con le chiavi ancora sospese tra le dita. L'ho guardato come se fosse la prima volta in tutto quel tempo che l'avevo conosciuto.

Non conosco la sensazione che provo in quel momento a vederlo, qualcosa simile al disagio sta entrando dentro le mie vene. I suoi occhi verdi sono taglienti, come lame ben affilate, che volevano attaccare ogni punto del tuo essere.

Peccato...Sono sempre prima ad attaccare con lui.

«Buongiorno.» saluta smorzando la tensione tesa che aleggia intorno alla stanza.

I suoi capelli folti bruni erano stati accorciati, l'ultima volta che ci siamo visti li portava lunghi, una camicia azzurra aderiva al petto e la giacca appoggiata allo schienale.

Mi avvicino sedendo di fronte a lui e stento le gambe in avanti per rimuovere quella sensazione che attanaglia dentro di me.

«Ciao.» la mia voce è uscita fuori come se fossi sgarbata alla sua vista.

Ma non so come comportarmi a vederlo qui nella mia città, un posto dove non aveva mai messo piede.

Sembra ambientarsi bene tra queste mura a confronto a me. Ogni qualvolta metto piede qui, un gelo penetra tra le vene a guardare le pareti grigie dei corridoi e il sentimento cresce ancora di più quando intravedo le sbarre che cigolano facendo un rumore sinistro. La pelle d'oca.

«Che bel benvenuto mi stai dando.» ironia della sorte. E' consapevole che non mi sarei aspettata la sua presenza qui.

«Mi ha messa contropiede l'altro giorno. Non lo hai nemmeno accennato» borbotto sulla difensiva. Non è proprio difesa ma solo non sapevo che nome dargli alla sua presenza.

«Almeno un sorriso potevi farne cenno quando ci siamo visti. Nemmeno adesso mi hai accolto contenta.» si appoggia allo schienale dondolando le spalle contro. Alza le braccia sulla testa tirando le punta verso l'alto. E' un tilt nervoso il suo, quello di tirarsi i capelli quanto è teso, o qualcosa lo faceva innervosire.

«Ti do fastidio? Scusa tanto se sei stato tu a volermi qui.» un secondo passa prima che io possa fare un passo. Una mano sbatte contro il ripiano della scrivania facendo cigolare gli oggetti.

Sollevo lo sguardo sul suo pietrificata. «Mi da fastidio il tuo modo di rapportarti a me. Sembra quasi che non siamo marito e moglie, Greta.»

Distoglie lo sguardo alla finestra sospirando rumorosamente, unisce le mani a mo' di preghiera per calmare il tremolio e uno schiocco di lingua riporta la mia testa alla realtà.

«Cosa ti aspettavi da me? Non ti sei mai lamentato. Pensi di poter venire nella mia città e comportarti da padrone? No, tu tornerai da dove sei venuto il prima possibile.» borbotto.

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