Ventisette

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«Iu t'ammazzu u capisti?!». 

La sua voce irata drizza i peli delle braccia. Corsi per il lungo corridoio fino alla cella dove mi sono fermata a scambiare due parole con la ragazza. Urla quelle parole ancora un'altra volta. Giunta alla soglia intravedo due sagome fisse sul muro, una tratteneva il colletto in un pugno dell'altra, appiccicata a muro.

La sua chioma riccia ad un millimetro dalla sua faccia.

«Iu t'ammazzu u capisti?» sussurra. Le vene della sua fronte si gonfiano dal rossore.

Entro dentro per separarle, prendo di forza il suo corpo per allontanarla dalla cella spingendola nel corridoio.

«Barbè! Posso capire che sei incazzata ma c'è un limite alle cose.» urlo avvilita. La guardo negli occhi alla ricerca di una spiegazione che non tiene a darmi. Le mie parole cadono nel vuoto. I suoi occhi si spostano alle mie spalle.

«Diccillu. Fuerza asputa na bucca de merda che ce tieni!» inveisce verso la sua compagna di cella. Stringe le mani in pugni che avrebbero potuto spaccare i muri del carcere.

Mi volto verso la persona che si trova alle mie spalle. La sua chioma bionda cenere è legata ad una coda, gli occhi verdi si spostano ai miei e le sue labbra si chiudono in una retta. Alta quanto me, i nostri occhi si incontrano a fissarsi per la prima volta dopo tantissimi anni.

«Cimì, nun t'annu bastatu i botti da ragazzine?» derido amara. Ricordo bene quello che era successo nel cortile della scuola. Non faceva altro che criticare e prendere in giro Roberta.

Sussurri si arieggiano intorno a noi alle mie parole. «Si su dati botti da niche?!».

«Costa taliati. Sempri a stessa ma u sa cosa cancia ura?» domanda allussiva con occhi colmi di rabbia.

«Cancia ca io di possu sbattiri in isolamento su un na finisci di importunare i to compagni. E tu ma chiamari superiore un semu chiù a scola.» di un passo mi avvicino alla sua faccia sfiorandole il naso.

Sorrido amaramente. Queste scenate non fanno parte della mia quotidianità ma una testa calda come la sua era meglio prevenire qualsiasi inconveniente.

«Lo vedi a differenza tra te e mia? Che io esco ed entro per sorvegliare» punto l'indice della mano destra sul suo petto, «Tu arresti ca' tutte le ore della mia giornata fino a quando un moru. U capisti?».

Le mie parole possono ghiacciare tutto il carcere perché è questa la verità. Qualunque cosa commetti non è facile uscirne via come se niente fosse, ti rimane un marchio dentro la pelle che viene vista da chiunque. Le cicatrici fanno la stessa fine che farà lei.

«Tutti dentro le vostre celle!» urlo facendomi sentire da tutte le reclute della sezione. I loro passi si sentono come eco.

Mi sposto di lato facendo segno di passarmi davanti. Aspetta che varco la soglia per proseguire, la sua testa china verso il basso. L'ho centrata nel suo cuore rancoroso.

Mi volto verso la sua compagna di cella.

«Tu adesso entri dentro e fai finta che non è successo niente.»

«Non c'è vogghiu ca a chista» borbotta con occhi colmi di rabbia.

«Ti ho detto entra e fai finta di niente!» esclamo inferocita per la sua testardaggine. I suoi occhi saltano nei miei. Sobbalza dal mio tono di voce.

«Me la vedo io con lei. Tu ca stari fuera!» la spintono con il dito indietro. Viene presa dalla donna che ha corso nella nostra direzione, la stessa che aveva scambiato due parole con me. La donna dell'ultima cella.

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