Sei

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Dicembre 2000

L'aria delle feste natalizie era giunta anche nelle mura della casa famiglia, quando era giunta lei si chiamava orfanotrofio. Tutti si erano radunati all'ampio salone per svuotare gli scatoli pieni di oggetti per abbellire l'albero.

«Io voglio mettere la candela! Io!»urlò Gero con tono di chi voleva arrivare primo ma qualcuno lo aveva preceduto alla sua mossa. La bambina li fissò tutti ridere tra di loro.

«E invece ti fazzu vidiri ca tu un la metti!» divertito Federico gli sfiorò i fianchi per fargli il sollettico. Si coricarono nel tappeto rettangolare tra le risa.

«Grè vieni ca!» la chiamò una bambina giunta alla soglia felice di vedere il chiasso. Si radunò con i fratelli sul tappetto e le indicò il posto per lei. Al centro.

Perchè per loro era la sorella maggiore, colei che stava al centro accerchiata da tutti loro e la stessa che si prendeva cura di loro da sempre.

«Grè!!» la chiamò Claudio con le mani che svolazzavano davanti alla mia vista. Era rimasta bloccata sopra le loro occhiate e i richiami.

«Vacci!» spinse la zia. Quel giorno si era fatta più bella, la sua chioma ben arruffata veniva trattenuta da una pinza ben diritta e un vestito color rosso copriva il suo corpo.

«Ti sta bene questo vestito» la bambina si complimentò affascinata.

«Greta!!» urlò ancora la bambina.

«Sì, Terè un attimu no!» lei esclamò rassegnata dalle loro continue attenzioni. Non potevano fare a meno di riempirli di urla e richiami. Un giorno gli sarebbero mancati.

C'era una canzoncina che si stava spargendo per la sala dalla radio, qualcuno ne alzò il volume per farla ascoltare. Ma era la nostra preferita. La sua.

Le prime note si impadronirono nelle loro orecchie facendoli ondeggiare tra di noi, sotto voce cantammo i primi versi e al ritornello tutti attesero che cantassi sotto i loro occhi colmi di speranze e sorrisi felici. Stavano bene, stavano tutti bene.

«È Natale e a Natale si può fare di più, è Natale e a Natale si può fare di più,

è Natale e a Natale si può fare di più. Per noi, a Natale puoi.» Greta cantò il ritornello.

I ragazzi e i bambini la seguirono a ruota, dopo un ennesimo scatto fotografico si alzò per posizionare la pallina che avevo ancora tra le mani. Mancava l'ultima da abbellire l'albero. Oggi era il primo giorno di vacanze per tutti noi, dopo intense verifiche scolastiche potevamo rilassarci tra le mura di casa per giocare e tenere salda l'aria natalizia.

Mia zia si affiancò al suo lato destro con la stella tra le mani e una volta finita l'ultima verso bisbigliò. «Teresa vieni ca!».

La bambina coperta di vestitino a quadri di colore rosso le raggiunse al suo richiamo, le sue labbra si sollevarono in un sorriso incantato. «A me!?» sussurrò perplessa ma distolse qualsiasi dubbio quando la presi dalle ascelle per sollevarla.

«No! Non è giusto!» esclamò Gero quando vide Greta con lei tra le braccia.

«Gna Gè, lo scorso hanno a chi è toccato? Al Papa?» lo rimbeccò Fede dandogli una spinta.

«Ogni anno uno di voi mette la stella. E quest'anno tocca a Teresa! Guai a chi fiata maccagnuna!» borbottai tesa. Avevo paura di perdere l'equilibrio e che cadesse a terra.

«Ca' facissi Tè?» le diede una spinta per sollevare ancora. Posizionò i piedi sopra le sue spalle per rimanere in piedi.

«Un attimo» rispose concentrata.

«Puru prima era n' attimo Teresa!» esclamava la zia seccata dal suo modo di fare puntiglioso.

«Attenta!!» confermava la cuoca dalla sala della cucina che aveva preparato tutte le pietanze per quella cena. Una donna alta, cicciotta che si copriva con vesti colori neutri dalla testa ai piedi. Sorrisi al battibecco.

«Fatto!!» urlò entusiasta. La fece scivolare sul suo corpo appoggiandosi sul busto per scendere e saltò per tutta la sala. «Ho messo la stella! La stella!»

«Se però un t'allargà Terè eh!» la rimbeccò Gero frustato dalla bidonata.

«Gna Gè, e però na' rottura sì!» Greta lo rimboccò esasperata. Le risa giunsero intorno alla stanza dopo il vizio che aveva Gero ad essere sempre l'ultimo a dare la parola.

«Certu na' rottura però sempri a mia cercati quantu aviti bisognu! A prossima va grattati vaddri!». Dopo queste parole iniziò a correre per la cucina consapevole della gaffe.

«CALOGERO!» lo richiamava la zia rincorrendolo dietro.

Mise l'ultima pallina che ruotava tra le dita ancora per un lungo indeterminato. Greta sorrise consapevole della famiglia che mi toccava scegliere nonostante tutto. L'unica che desideravo al momento per quelle feste.

Assorta con le mani ancora a quella palla rotonda, girò verso di lei i colori che rispecchiano ai suoi occhi. Era la prima pallina che aveva disegnato qualche anno prima.

Aveva disegnato una famiglia, due genitori ai lati, tre fratelli insieme a loro, che giocavano nel giorno di festa.

«Luci spente!» urlò Federico dal corridoio.

Tutto ad un tratto si spensero le luci, intorno aleggiava solo i rumori che si emettevano, risate felici dei bambini che si muovevano senza stare attenti e poi c'era lei che li guardava incantati.

Le luci che avevamo posizionato per tutto l'edificio si accesero, i volti vennero illuminati dalle lucine colorate e come ogni anno le guardavo sempre allo stesso modo. La consapevolezza che l'unica famiglia che aveva era solamente zia, la stessa che trovava occasione per avermi con sé.

Era un nostro momento quello, vivere le feste insieme per compensare le nostre mancanze.

Lei non chiedeva regali, solo racconti delle persone che l'avevano lasciata andare e avevano voluto darle una vita, quella che non avrebbero più avuto.

C'era con loro un signore che faceva fotografie, mettevano l'ultimo boccone del pasto e lui scattava foto in tutte le angolazioni per immortalare quel momento e farmi ricevere dopo le feste l'album di foto natalizie.

Lo faceva tutti gli anni, all'età di due anni le aveva fatto una foto per conservarla una volta da grande, ogni foto la voleva ricordare insieme a quei pochi momenti di felicità. Non li avrebbe avuti per sempre.

«Gretuccia, sei così bella e mi dispiace che debba lasciarti in quella casa» disse zia guardandola negli occhi triste.

«Appena puoi vienimi a prendere» la bambina le rispose tagliando la conversazione.

Non voleva rovinarsi i giorni pensando a loro, erano partiti lasciandola da sola.

Era sempre stata sola, nessuno la avrebbe tenuto con sé e voluto bene per sempre.

«Insieme?» chiese commossa. La guardò negli occhi, aveva due pupille color miele come il barattolo che conservava nella dispensa dell'orfanotrofio.

La sua bocca piccola ma abbastanza grande da lasciare enormi baci sulle sue guance e le sue mani tenute tra di loro sul grembo, la accarezzavano sempre e continuamente nelle ore che passavamo insieme.

«Sempre».

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