IV

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Serpeverde contro Tassofrasso fu un trionfo, Regulus recuperò il boccino dopo appena cinque minuti dall'inizio della partita. Lumacorno esultò come un ragazzino, era felice dalla punta dei baffoni fino ai piedi, mentre la professoressa Sprout aveva la stessa espressione di una mandragola nel pieno dell'adolescenza. I festeggiamenti nella Sala Comune di Serpeverde andarono avanti finché c'era burrobirra da bere e voce per osannare Regulus Arcturus Black, il levriero di Serpeverde. Definirlo mastino sarebbe stato esagerato, vista la stazza, mentre gli altri cani non avevano nulla di glorioso, fatta eccezione del veloce levriero. Regulus non si oppose, né si mostrò granché esaltato da quella che per lui era una vittoria più che prevedibile. Ben presto riuscì a strisciare fuori dalla calca e trovare tregua da quel chiasso sedendo ad uno dei divanetti di pelle posti vicino le vetrate che davano sul lago. Qui, altrettanto desideroso di starsene in pace, sedeva Severus Piton, chino sui propri libri al punto che la punta del naso adunco quasi sfiorava la pergamena. Nel vederlo arrivare, gli volse uno sguardo apatico, distante.

«Non avrai questa fortuna, la prossima volta.» Laconico, lo fissò prendere posto senza opporsi. Regulus annuì, addentando una mela recuperata dalla tasca. Non disse nulla, lo sguardo fisso nell'acqua del lago, in cuor suo sempre speranzoso di scorgere una maride.

«Macnair mi ha detto che proverà a lanciare una fattura a Potter.» Severus era inespressivo, distante, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che lo faceva sentire a disagio. Esposto.

«Non ci riuscirà, Potter non è uno stupido ed è sempre circondato dai suoi.» Fece roteare la mela tra le dita, assorto.

«Proverà con quella Harding, allora.»

Sentì lo sguardo su di sé, lo sostenne in silenzio, avvertendo un certo fastidio all'idea che tramassero simili scorrettezze. «Gradirei che non interferisse nessuno, Severus. Vincerò perché sono quello che merita la vittoria e l'otterrò senza mezzucci.»

Il compagno lo guardò come se avesse scorto qualcosa di interessante, di curioso. «Non devi dirlo a me, Black. Io non ho intenzione di nuocere né Potter né la mezzosangue.»

Lo disse in modo convincente, ma per un attimo Regulus ricordò gli scherzi subiti da Severus, lo scherno, le sue pallide chiappe esposte alla folla di studenti acclamanti. Come se l'avesse letto nel pensiero, l'altro si voltò di scatto, irrigidendosi. Approfittando di quel momento, Regulus si concesse di mangiucchiare la sua mela, per poi gettare il torsolo all'interno del camino, centrandolo con un solo lancio.

«Com'è che non eri al Lumaclub, l'altro giorno? Di solito te ne stai insieme a quella pedante di Evans.»

«Non sopporto l'idea di perdere il mio tempo in simili buffonate, Black.» La voce si fece più secca, perentoria. «Il prossimo anno sarà l'ultimo, per me, devo concentrarmi nello studio ed essere pronto a...quello che verrà.»

«Creare legami è parte del processo, Severus. Lo studio è fondamentale, ma lo è anche tessere dei legami utili. Siamo nella migliore scuola di magia e stregoneria del mondo, i maghi e le streghe che si formano tra queste mura domineranno la classe dirigente di domani, al Ministero.»

«Ed è per questo che perdi tempo con la piccoletta di Corvonero?»

«Prego?» Inarcò un sopracciglio.

«Eileen Faccia-da-topo Harding.»

Non si scompose, ma lo sdegno arrivò tardivamente. «Se stai facendo delle allusioni poco eleganti, sappi che non gradisco.»

«Nulla, lascia perdere.» Sbuffò l'altro, già annoiato dalla questione. «Complimenti per la partita, comunque. Spero che tu riesca a umiliarlo, Potter.»

Lo sperava anche lui. Fece per rispondere, ma venne richiamato da alcune serpeverde del primo anno, un paio di ragazzine timide e sorridenti che gli porsero alcuni fiori che avevano incantato in modo che restassero freschi per mesi. Le ringraziò, diede loro un buffetto gentile, per poi congedarsi e rientrare nella propria stanza, dove gettò i fiori nel braciere, dimenticandosene.

Non provò alcuna vera gioia per quella vittoria, a nulla servirono i complimenti o i biglietti lasciati per lui nel dormitorio. Trascorse la notte a rimuginare sulle parole di Severus, chiedendosi se ci fosse qualcosa che avesse notato e che a lui era sfuggito. Eileen non era solo un'insopportabile saputella, facile all'ira e alla polemica, era anche una mezzosangue che spasimava per Sirius, come mezza scuola, del resto. Regulus aveva affari più urgenti a cui pensare, pochi anni e si sarebbe lasciato la scuola alle spalle e sarebbe finalmente riuscito a entrare nelle grazie del Signore Oscuro e aiutarlo nella sua gloriosa opera. I maghi purosangue erano così pochi, costretti a sottostare a stupide imposizioni a causa dei babbani, sciocchi e lordi carnefici della sua stirpe. Il sangue è tutto, se lo ripeté come un mantra nel tentativo di addormentarsi. Il sangue è magia, è potere, è futuro.

Eppure, sognò di Eileen, che di sangue puro ne aveva solo poche gocce. Nel sogno era diversa, gli sorrideva com'era solita sorridere a Sirius. Poteva quasi sentire il calore della sua pelle sotto i polpastrelli, l'odore dei capelli e il respiro che si avvicinava al suo. Il risveglio avvenne di colpo, strappandolo da lei un attimo prima di sfiorare le sue labbra. Reprimendo a stento frustrazione e imbarazzo, si gettò fuori dal letto nel tentativo di lavar via quella sensazione dalla sua pelle.

Dannazione alla mezzosangue, stupida e ridicola nanerottola, dannazione a lei e alle sue labbra morbide. Continuò a maledirla mentre si recava verso la Sala Grande per la colazione, quando riconobbe la sua coda di cavallo oscillare da sopra la ringhiera di marmo delle scalinate del secondo piano. L'avrebbe riconosciuta ovunque, quella coda, erano ciocche castane che scendevano creando una piccola spirale sulla punta. Avvertì le budella attorcigliarsi nello scorgere Sirius, in piedi davanti a lei, una mano sulla ringhiera e lo sguardo che, ci avrebbe giurato, indugiò a lungo su quello di Regulus. I due fratelli ebbero modo di scambiarsi quell'unica occhiata, ma a sorridere fu solo Sirius, con quel suo sorriso che probabilmente stava facendo tremare le ginocchia di Eileen. Più avanti Regulus avrebbe negato a sé stesso di aver provato tanto dolore nel vedere suo fratello chinarsi sulla Corvonero e baciarla lì, incurante dei passanti, di lui che da lontano li stava guardando, forse perfino dei sentimenti di Eileen, illusa che quel gesto fosse scaturito da qualcosa di sincero e spontaneo, e non una mera ripicca, l'ennesimo sgarro a un membro della casata Black.

Quella di Regulus fu una marcia serrata, quasi una corsa, che alla fine lo condusse al tavolo di Serpeverde dove, ostinato e disperato insieme, si limitò a fissare il proprio porridge senza toccarne un solo boccone. Nonostante il viavai di studenti e insegnanti, nonostante il suo sguardo fosse puntato nel proprio piatto, Regulus seppe all'istante che le due figure entrate mano nella mano appartenevano a quelle di Eileen e Sirius.

Non odiò né lei, tanto stupida da pensare di essere speciale, né Sirius e la sua viltà: odiò sé stesso, la propria debolezza, quella ridicola infatuazione che, ci avrebbe giurato, avrebbe cacciato via con ferocia, sradicandola dal suo cuore come si fa con le erbe cattive.

Quella, però, continuò a germogliare.

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