Capitolo IX - Come una rosa

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C'era un prima.

E c'era un dopo.

Nel mezzo, c'era il punto di rottura.

Era l'attimo insignificante agli occhi del mondo che avrebbe trasformato le loro esistenze in vita.

Il caos era scoppiato, seppur fosse esploso unicamente tra le pieghe ordinate della mente del duca Maximilian Eisner Von Eisenhof.

Da quel momento avrebbe assecondato solo l'impulso, puntando il proprio cuore in un azzardo e rischiando di smarrire gli affetti più cari. Capì di non aver nulla da perdere, giacché da tempo non aveva niente che gli allietasse l'anima, intrappolata in un groviglio di risentimento e struggimento.

Evanescenti, erano spariti tutti: dal conte Heinrich a Christina e, finanche, Katharina era svanita in un colpo solo dai suoi pensieri, fino allora cristallizzati sulla donna.

C'erano solo lui e Moritz Butler - almeno, così gli sembrò- nell'ampia e soleggiata sala da pranzo, si fronteggiavano e si osservavano con vivida curiosità e una crescente antipatia reciproca.

«È un piacere rivederti, Moritz» mentì Maximilian; sapere che l'uomo fosse lì in veste di pretendente gli sconquassava i sensi e gli chiudeva lo stomaco. Si domandò come avrebbe fatto a mandare giù tutto ciò che la cameriera stesse mettendo nel proprio piatto, benché la colazione non rientrasse tra le sue imminenti preoccupazioni.

«Il piacere è reciproco, amico mio» contrattaccò Moritz, contrariato di aver ricevuto un invito per colazione e avervi trovato il fratello maggiore di Alexander Eisner Von Eisenhof, colui contro il quale gareggiava- subendo una sconfitta dietro l'altra- da quando era adolescente e, ora, il trofeo era il muscolo cremisi intrappolato nel corpo ammaliante e aggraziato di Katharina.

Moritz Butler sapeva di essere, ormai, in vantaggio stavolta: ogni vizio del giovane duca era a lui già noto, ma adesso la sua dissolutezza era diventata di pubblico dominio, giungendo finanche alle orecchie degli Andrássy. Si era più volte domandato, durante gli ultimi giorni, chi fosse stato a giocare quel brutto tiro ad Alexander- difficilmente avrebbe espiato le proprie colpe giacché finite sui giornali- tuttavia nessuna risposta lo convinceva. Di certo, non era stato lui, nonostante avesse tutti i motivi per odiarlo; eppure, era difficile capire chi fosse responsabile di un simile gesto, poiché la lista dei nemici di Alexander era lunga quanto l'Ausgleich.[1]

«Come sta tua sorella Helena? Si è ripresa?» domandò Maximilian, stavolta con sincero interesse.

«È ancora provata dalla tragedia, credo che ci voglia tempo per dimenticare. In fondo, anche se a noi possa sembrare passata un'eternità, è trascorso solo un anno» rispose l'uomo, assorto in congetture che lo inducevano a sproloquiare, al punto che non badò a quanto uscisse dalla propria bocca, «Siamo qui a parlar di lei, ma neppure lontanamente possiamo immaginare ciò che ha patito e il dolore che tuttora intrappola i suoi pensieri negli abissi oscuri della mente» sospirò, ancora ignaro del terreno accidentato su cui si era incautamente addentrato. «Voi ci pensate mai all'inferno che deve essere stato? L'allarme, le raccomandazioni, l'affanno per la vana ricerca della salvezza...»

Katharina tossicchiò rumorosamente, sperando che tacesse; Christina sospirò sommessa e innalzò le pupille al cielo, certa che il presunto quasi cognato non avrebbe inteso quanto la sorella gli stesse suggerendo; invece, il conte Heinrich rischiò di strozzarsi bevendo acqua, mentre pregava affinché al ragazzo si seccassero in un solo colpo le fauci. Moritz Butler era un aristocratico garbato e di bell'aspetto, con l'ondulata e folta capigliatura bruna, con luccicanti iridi nocciola incastonate tra le lunghe ciglia nere, con oltre centonovanta centimetri di altezza laddove erano distribuiti tutti gli imponenti chilogrammi che si portava addosso. Forse, solo il naso era un po' storto, pendeva a destra, ma non rovinava affatto la delicatezza del suo volto. Inoltre, quel che più contava era il suo carattere, la benevolenza era il suo miglior pregio, benché talvolta sfumasse nell'alterigia del risonante nome. Doveva solo imparare a tacere, il conte Heinrich decretò solenne nella propria mente. Non potette neppure incolpare alla stupidità, fortunatamente, giacché Moritz Butler era conosciuto per l'intelletto acuto. Andrássy non si spiegava, però, come l'uomo avesse potuto porre una simile domanda.

La sposa di CainoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora