XIV capitolo - Almeno, un'ultima volta

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Il marmo era gelido e la pelle dei palmi si era, ormai, intorpidita.

Eppure, non riusciva a staccare le mani dal ripiano, tantomeno era capace di allontanare la fronte dal vetro della finestra su cui era poggiata.

C'era il vento che soffiava forte fuori, l'estate sembrava che non volesse giungere, o forse era la primavera che s'intestardiva a restare, e le foglie strappate dai rami si libravano davanti ai suoi occhi cupi.

Non le osservava danzare, però, perché le pupille del duca Maximilian Eisner Von Eisenhof erano incatenate al cancello della propria abitazione, e sperò ardentemente che nessuna figura lo varcasse.

Non sapeva da quanto tempo fosse lì, ormai. Ricordava di essersi rintanato nelle proprie stanze subito dopo la colazione e, adesso, doveva essere già trascorsa l'ora del pranzo.

Era giunto, o quasi, il momento che più temeva.

Un battito di cuore più profondo.

Una palpitazione stonata aveva sospinto il suo cuore contro il costato quando, a colazione, il fratello l'aveva informato della pace fatta con Katharina. Non aveva lesinato su alcun dettaglio, Alexander, e gli aveva anche svelato che nel primo pomeriggio loro due, innamorati ritrovati, si sarebbero incontrati nella serra e avrebbero, finalmente, consacrato il loro amore alla completezza.

Era alla finestra, Maximilian, e aspettava di vedere con i propri occhi ciò che le sue orecchie si erano rifiutate di ascoltare.

Un ticchettio molesto risuonò nella stanza. «Avanti!» ordinò e la porta di legno si dischiuse.

«Duca, siccome non avete pranzato, la cuoca chiedeva se desideraste mangiare qualcosa», il cameriere di Maximilian entrò nella camera, ma nulla di quanto pronunciò fu ascoltato dal suo padrone, poiché nello stesso istante una carrozza familiare si fermò davanti al cancello della villa.

Era inerme.

Non riusciva a muovere gli arti, né a chiudere le labbra spalancate; poté solo far vagare le pupille sulle movenze della donna che, con un saltello aggraziato, discese dal predellino.

Abbassò le palpebre, più che altro le serrò con stizza, e accostò le tende, sicché non potesse vedere quanto gli mozzava il respiro e rubava ogni battito.

Ciondolò su se stesso e, incespicando sui propri passi, arrivò al letto e vi si sdraiò, portando le mani alla fronte.

Pulsarono le tempie e vibrarono le pupille, le corde vocali tintinnarono e un ringhio rabbioso si frantumò in gola. «Portami la bottiglia di brandy e un bicchiere.»

«Perdonatemi, credo che Sandra volesse prepararvi almeno uno spuntino.»

Maximilian non aveva più il controllo delle proprie azioni, né della voce. «Non desidero nulla da mangiare, voglio solo restar solo» chiosò caustico, «non ci sono per nessuno! Ora, esci!»

Il giovane cameriere s'immobilizzò, stupito del comportamento di Maximilian. «Duca...»

«Non voglio essere disturbato per nessun motivo! Sono stato chiaro?» La domanda di Maximilian, la ferocia con cui fu pronunciata, trapassò le mura e fece tremare ogni anta.

Il cameriere s'inchinò e, silente, sparì dalla stanza, mentre Maximilian combatteva un'estenuante guerra contro di sé.

Era abituato a schivare i colpi di un dichiarato nemico, seppur fosse stato sempre certo che, un giorno o l'altro, l'avrebbero tramortito. Stavolta, invece, non era riuscito a evitar l'affondo poiché non vi era altro responsabile oltre chi lo osservava, ogni mattina, dallo specchio.

La sposa di CainoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora