Capitolo XVI - Non chi comincia, ma quel che persevera

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D'un tratto, l'atmosfera cambiò: mutò la consistenza dell'aria, il ritmo dei respiri, il vociare sommesso celato dietro il fremito dei ventagli.

Gli invitati tentavano di capire cosa stesse dicendo il valletto del conte Andrássy allo sposo, sbirciavano oltre il capo di chi sedeva innanzi a loro, allungavano il collo e drizzavano le orecchie.

Invero, anche Maximilian cercava di prestare attenzione al giovane servitore, sopraggiunto al suo cospetto con affanno. Non gli riusciva affatto, però, di ascoltarlo, temeva quel che uscisse dalla sua bocca e, allora, preferì guardargli il viso e provò a carpirne gli stati d'animo, che a suo dire oscillavano dalla soggezione al rincrescimento.

Non era un buon segno, per nulla.

«Duca, mi state ascoltando?» l'uomo azzardò la domanda, seppur fosse pronunciata con somma riverenza, e richiamò l'attenzione del nobile sulla notizia di cui si faceva portavoce. «Come vi dicevo, la carrozza del conte si è rotta strada facendo. In verità, è la ruota anteriore che si è frantumata, sulla Kärntnerstraße. Non è molto distante da qui, quindi, ma la contessina è sull'orlo di una crisi isterica. Non voglio sembrare irriverente nei confronti della vostra promessa sposa,» si affrettò a giustificarsi, «ma è stato il conte a ordinarmi di usare questa espressione descrivendo i tumulti che affliggono la contessina Katharina.»

Maximilian annuì, scusando l'uomo e immaginando cosa frullasse nella mente di Katharina. Di sicuro, la fidanzata associava l'inconveniente a un segno del destino. Katharina aveva sempre creduto al fato e Maximilian non poteva, in quel frangente, darle torto.

Si stava ribellando, Dio, a quel peccaminoso giuramento che di sacro non aveva nulla. Erano blasfemi i voti che volevano pronunciare, quantomeno quelli che si sarebbero posati con irriverenza sulla bocca di Katharina e l'Onnipotente li stava fermando.

Maximilian annaspò, strozzandosi con il proprio respiro. Era d'accordo con Katharina, senza alcun dubbio, eppure avvertì il dardo della scontentezza spaccargli il cuore.

Non aveva mai capito, fino a quel momento, quanto il pensiero di sposare Katharina, benché con l'inganno, fosse l'unico motivo per cui la mattina si svegliava con il sorriso e la sera si addormentava senza dover più ingurgitare un bicchiere colmo di brandy.

Non gli capitava da oltre un anno, da quando i genitori erano stati risucchiati nelle profondità oceaniche a causa sua.

Non che l'affondamento del Titanic fosse una sua responsabilità, ma non poteva scordare che la presenza dei genitori nel viaggio inaugurale del transatlantico era stata una fatalità imputabile unicamente al proprio scellerato egoismo.

Doveva esserci lui!

E sarebbe salpato, se non fosse stato per lei.

Maximilian si ridestò, accantonando il nefasto passato, e udì Alexander dire al valletto di rassicurare il conte e la figlia: avrebbero provveduto loro ad avvisare gli ospiti.

Avvisare di cosa? Che il matrimonio era saltato perché la sposa amava un altro? Maximilian si arrovellò in interrogativi senza risposta, certo che Katharina ci avesse ripensato e volesse tornare indietro.

E l'umiliazione di un rifiuto così plateale si sommò alla scontentezza di averla persa, proprio ora che ne aveva assaporato l'inebriante essenza.

Non sospettava, infatti, che l'unica preoccupazione di Katharina fosse arrivare in Chiesa il prima possibile, anche a costo di andarci a piedi, o a cavallo.

Aveva dato di matto quando la carrozza si era rotta, ipotizzando il fraintendimento in cui sarebbe caduto Maximilian. Un travisamento comprensibile, giacché lei non aveva fiatato durante il discorso del duca su un suo possibile ripensamento: le aveva dato possibilità di scelta e lei non aveva risposto alcunché.

La sposa di CainoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora