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L'acqua è calma, bassa, si può camminare per chilometri fino all'orizzonte. Nessun mostro marino sotto le increspature. Ci sono i coralli, pesci sgargianti nuotano nella trasparenza.

La televisione è accesa, stanno dando un servizio sulla barriera corallina. Difficile stabilire chi sia più distratto tra mio fratello, tutt'uno col telefono, e mio padre, che per un rapido pranzo prima di tornare al lavoro ha fatto un salto a casa. Certi posti non li ha mai visti, se non in qualche documentario; ne è affascinato, eppure rimanda la partenza per andare a visitarli.

«Te ci sei stato là?» mi chiede senza accorgersi di avermi interrotto – stavo parlando dei recenti colloqui.

Ci son stato, ci sono ancora, è lì che finirò.

Le telecamere sono andate in profondità, hanno filmato esseri tentacolari provenienti da un altro mondo. Mi manca Bali, mi manca Haiti, cosa avrei dato per vedere l'Islanda anziché il Madagascar. Ma la vita ha fatto il suo corso, ed ora tutte le strade ripartono da qui, da una cucina dove "l'assenza" dei due presenti è meglio dell'abisso.

Io sono il mare, ne canto la voce in tempesta. Io sono la vita e mi muovo tra le stelle.

Mio fratello sta scorrendo chissà quale bacheca, o chissà quale sequela di reel che un domani gli farà rimpiangere una sana lettura di American psycho. L'occhio cade su un video che mi mostra con solerzia. Sostiene ch'io sia lo sbandato ripreso, che, in mutande, stava stonando qualcosa, con la polizia a rincorrerlo in qualche mall americano.

Ahimè, ci sono momenti in cui credo che il mondo sia peggiorato, benché sia sostanzialmente lo stesso di sempre – si sono giusto imposte le casse di risonanza del disagio. Non per niente: «Oggi non ho un cazzo da fare, quasi quasi vado a drogarmi» scherza mio fratello, per vedere che reazione avrà il nostro vecchio, che a cinquantasette anni sembra ancora un ragazzino. Nei canali percettivi, specie nelle orecchie, di anni ne ha invece almeno novanta, perché seriamente replica: «Torni per cena?» ed io non so se ridere o iniziare a preoccuparmi.

Il tempo sta passando per tutti, tranne che per me.

Pausa caffè, prima sigaretta della giornata, due passi avanti e indietro sul poggiolo per distrarmi. Non ci riesco, la tentazione è forte. Prendo il telefono e guardo l'ultima foto scattata all'altra mia nonna, venuta a mancare da qualche mese. Rimbambita come suo figlio, come me, buon sangue non mente. Diamine se però le volevo bene, non c'è giorno in cui non mi penta di essermi trovato per le isole greche mentre lei moriva nel sonno.

Io sono la vita e sto finendo un secondo alla volta.

Tornato per ricominciare e per non perdermi più nulla. Perché, presto o tardi, bisogna fare i conti con la realtà. La nonna ancora in vita questi discorsi non li vuole sentire, perché il mio pentimento è perdonabile quando – ne è certa – c'è l'aldilà dove i nostri cari ci aspettano. E proprio nell'aldilà preferirei essere adesso che è rientrata a casa, con il suo meticcio che non fa altro che abbaiare. Allora a farsi più forte è la tentazione di evadere, fare la telefonata e sentire la voce di Virginia.

Non qui, non ora. Il ragazzo mi sta osservando.

«Cosa sta facendo, geometra?» salta fuori lui, col busto fuori dalla porta finestra e un piede quasi nella ciotola del cane. «Messaggia con la ragazza o si sta aprendo un Onlyfans?»

Messaggia, messaggia. Per alcuni un'arte, per altri una perdita di tempo, per molti una necessità. In quale categoria inserirmi era un dilemma per i miei compagni di campetto, che al telefono mi ci vedevano solo quando era successo qualcosa per cui dovessi intervenire. Non passò infatti inosservato il mio stare incollato allo schermo dopo il "buongiorno" a Virginia, ero vibrante per risposte che tardavano ad arrivare. Però i ragazzi li liquidavo con facilità, via dagli affari miei; pari scioltezza non dava risultati con Desi, quel mattino assente come la cantante – la prima per i dolori del ciclo, la seconda perché in gita scolastica.

Un'altra canzoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora