Tre mesi prima, regno di Lousele.
Ho sottovalutato la potenza delle parole, di come ti possano turbare o farti tornare subito di buon umore. La gente passa a fianco a me, le pronunciano con entusiasmo ma sono l'unica a considerare le sillabe delle lame appuntite. Mi manca il respiro, e finché i commenti proseguiranno a echeggiare intorno a me non faranno altro che sprofondarmi nello sconforto. Ettore prosegue ad andare avanti ma non posso far a meno di rallentare. Cerco di riprendere fiato, a ogni minuto che passa il vociare delle persone si fa sempre più insistente.
«Il corteo sta arrivando.»
«Ho sentito che la cugina dell'imperatore è affascinante.»
«Di che colore sarà l'abito? Azzurro come il cielo di Settembre, oppure blu come la profondità del mare?»
Mi fermo di scatto, e pronuncio la prima scusa che mi viene in mente per fuggire in fretta dalla folla. «Ho dimenticato di legarmi i capelli» gli riferisco con tono pacato. «Aspettami qui. Torno subito».
Imbocco una via laterale pur di sentire nient'altro che il silenzio. Estraggo un nastrino dalla tasca del mantello, ma mi tremano così tanto le dita che non riesco a intrecciarmi i capelli. Abbasso le mani e lascio che le ciocche scarlatte mi ricadano sul viso. Mi chiedo dove sia finito quel lato di me che non si abbatte mai di fronte alle difficoltà della vita. Quel lato di me che mi ha reso la guerriera che sono diventata dopo anni di duro addestramento. Forse è vero ciò che un tempo mi diceva papà. Noi esseri umani sottovalutiamo quanto in realtà siamo fragili dentro, che non basta avere una corazza intessuta dal coraggio e dalla determinazione per reputarci forti. Dei passi veloci mi inducono a voltarmi di scatto, e poso una mano sulla fronte affinché i raggi del Sole riflessi sulle finestre dei palazzi non mi abbaglino gli occhi.
«Lisandra, vai a casa. Ci penserò io a sorvegliare i generali dell'imperatore». Ettore si avvicina a me, e mi stringe fra le braccia. «Fregatene dell'ordine del sovrano.»
«Come potrei mai farlo?» mi svincolo dall'abbraccio. «Sono anch'io una guardia personale del principe Michelangelo. Spetta anche a me il compito di proteggerlo da quella marmaglia alata.»
«Non sei solo una guardia o la sua amica d'infanzia. Fra voi due c'è... c'era... Senti Lisy» mi sottrae il nastrino che stringo fra le dita. «Sei sicura di riuscire a trattenere le lacrime durante la cerimonia? Se dovessi scoppiare in un pianto... » nel sussurrarmelo all'orecchio, inizia a intrecciarmi i capelli.
«So tenere a bada i sentimenti» gli scanso via le mani e finisco di farmi la treccia. «Non sono così disperata da comportarmi come una ragazzina innamorata a cui hanno strappato via il primo amore». Compio un profondo respiro, e poi gli faccio cenno di riprendere a camminare. «Andiamo, o faremo tardi».
Proseguo ad avanzare spedita sulla via ciottolosa. Di tanto in tanto mi soffermo a osservare i cantastorie appostati nelle vicinanze delle taverne. Intorno a loro, le persone applaudono. Altre si accasciano al suolo spaventate, e come se i racconti non fossero abbastanza per esaudire ogni curiosità ecco che giunge al mio orecchio la più famosa diceria che viene narrata nel regno.
«I secoli passeranno. Le generazioni si susseguiranno. Ma le leggende non moriranno. Continueranno a vivere fintanto che verranno tramandate da madre in figlia. Da nonna a nipote. Ogni regno ha le sue fiabe, i suoi i miti. Il regno di Nimurota, ora nostro alleato, è popolato da esseri che possiedono ali affilate e occhi che emanano scintille di fuoco. Basta un loro sguardo per catturarvi il cuore, e un solo cenno per privarvi della gioventù... » rimarca l'ultima parola suscitando abbastanza terrore da indurre le persone a restare con la bocca spalancata.
«Che esagerato!» esclama il mio amico ridacchiando.
Il menestrello gli rivolge un'occhiataccia che dura pochi istanti. Come se nulla fosse accaduto, la sua voce riprende a risuonare nella via, di pari passo aumenta il numero di persone che lo ascoltano con interesse. Mi sforzo a sorridere mentre i soldati ci salutano. La dolce melodia che però risuona in ogni angolo della capitale non riesce a far svanire ciò che di triste mi sta danzando dentro il petto.
«Udite, udite cittadini di Neravi! Questa alleanza sarà la fine del nostro regno! Scappate finché siete in tempo! Marceranno sulle nostre terre, e dovunque semineranno morte e distruzione!» urla un giovane buttato fuori dalla taverna a suon di calci.
La maggior parte delle persone lo deridono, altre come me lo ignorano. Ettore invece... lui non è un ragazzo che sta zitto. Soprattutto quando incrocia nel suo cammino i ciarlatani. In questo caso un giovane trasandato che a mala pena riesce a reggersi in piedi. Su per giù dovrebbe avere vent'anni proprio come me.
«Che prove avete per dire tali affermazioni? Cinque pinte di birra vi hanno illuminato all'improvviso la mente, oppure è stato un banale capogiro a rivelarvi cosa accadrà?»
«Prendete pure in giro le mie doti di chiaroveggenza, però sappiate che io, Timoteo... » si ferma di colpo di parlare.
Il ragazzo urla all'improvviso, rimane catatonico per una manciata di attimi e punta un dito contro il mio amico. Il rapido movimento del braccio gli sposta all'indietro un lembo del mantello, ma la stoffa logorata non gli scende dalle spalle grazie a una fibbia d'oro tempestata di perle. Aggrotto la fronte chiedendomi come sia possibile che un giovanotto così tanto povero possa permettersi di avere un monile del genere. Scrollo le spalle disinteressandomi se l'abbia rubato, o se invece è un cimelio di famiglia. Il fato è già stato crudele nei suoi confronti, perché mai dovrei porre fine alla sua vita portandolo nelle segrete?
Ettore, invece, non gli concede il tempo per dischiudere le labbra. Si avvicina a lui e gli punta la lama della spada sulla bocca. «Immagino che avete appena visto quando, come e dove morirò. Andatevene prima che perda la pazienza» gli riferisce rimettendo l'arma nel fodero per poi spintonarlo.
Solo quando voltiamo le spalle a Timoteo, quest'ultimo riprende a blaterare. Alzo gli occhi al cielo. Ettore invece serra la mascella.
«È soltanto un ragazzino ubriaco. Lascialo stare» lo afferro per un braccio spronandolo a camminare.
Di pari passo lancio un sacchettino di monete al poveraccio confidando che ne faccia buon uso, e che non lo sperperi per ubriacarsi. Le tilep atterrano con un tonfo ai suoi piedi. Lo raccoglie con un movimento rapido, osserva il contenuto al suo interno ma invece di inserirlo nella tasca dei pantaloni strappati lo rilancia verso il mio amico.
«Servono più a voi che a me» gli riferisce dando un'occhiata veloce ai soldati sparpagliati nella folla. «Avete tempo fino al tramonto per congedarvi dall'esercito, altrimenti i sensi di colpa vi porteranno nelle braccia della morte. Quanto a voi» mi indica con un cenno, un istante dopo direziona il dito verso il sacchetto serrando le labbra.
La seconda parte del capitolo arriverà a breve ^-^ A presto :-)
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Anime ruggenti
FantasyNel continente Losidedi la convivenza pacifica fra le nazioni è regolata da trattati stipulati nel corso dei secoli. Tuttavia una sola etnia minaccia di compromettere l'equilibrio: il popolo dei draghi. Sono forti, dotati di poteri magici e invincib...