Capitolo 15- 1°parte

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Tre mesi prima, regno di Lousele.

Chiunque sia nascosto sotto il tavolo sbuffa arrabbiato, strattona la stoffa e agita le braccia con furore. Dapprima vedo una mano robusta emergere dalle balze della tovaglia. In seguito osservo un ginocchio che sbatte sul pavimento fornendo allo sconosciuto un valido pretesto per mormorare una serie di imprecazioni. Nell'attimo in cui scorgo un cespo di ricciolini corvini, qualcosa sulla sua testa gli si impiglia in un angolo del broccato e molti piatti si infrangono sulle piastrelle. Una corona finisce sul marmo oscillando prima di restare immobile, e non ho più alcun dubbio a chi appartenga. Alzo gli occhi al cielo incrociando lo sguardo del primogenito del re che con un movimento goffo si raddrizza in piedi.

«Un cerusico, presto! Presto! Sono ferito» indica un graffietto sul palmo della mano. Da un calcio al tavolo e perde l'equilibrio buttandosi a peso morto sulla sedia. «Il mio piede, ahi ahi che dolore! La mia schiena mi duole da farmi impazzire! Sto per morire!» strilla come un'oca nel giorno della sua decapitazione. «Padre! Volevano uccidermi, ucci-der-mi» ricalca l'ultima parola «ma ho respinto coraggiosamente la freccia. Come premio per la mia impresa eroica, vorrei...» si picchietta un dito sulle labbra. «Già, che cosa potrei desiderare?» mormora corrugando la fronte «castelli ne ho a decine».

«Con cosa l'avete respinta, di grazia? Con la vostra paura di morire?» lo schernisce Sandara mettendosi le mani sui fianchi.

«Non essere scortese» interviene Chul porgendo una serie di scuse al primogenito che si volta dall'altra parte e sbuffa come un bambino.

«Smettila di comportanti come un infante! Diamine, Gavino. Non hai cinque anni!» la voce del re rimbomba in tutta la sala inducendo gli ospiti a interrompere ogni conversazione. Ruota il collo e solleva verso l'alto uno dei pochi calici rimasti sulla tavolata. «L'ora è giunta. Sono passati otto minuti dopo la mezzanotte. Guardie! Spalancate la porta della terrazza».

Retrocedo di qualche passo, e controvoglia mi posiziono al lato destro della terrazza. Le ante massicce vengono spalancate in simultanea, così piano che ho il tempo di metabolizzare gli atti finali del banchetto. Ettore mi stringe la mano, mi massaggia la schiena mentre cerco di regolarizzare il respiro.

Nel corso degli anni ho imparato a intrufolarmi in un campo nemico senza farmi notare dalle sentinelle nemiche. Ho sopportato i morsi della fame, l'asprezza del gelo e l'alito delle calure estive pur di portare a termine le missioni. Ho affrontato ogni avversità eliminando il panico di fronte alla morte. Mi hanno insegnato come maneggiare una spada, e a difendermi dalle lance dei nemici. Nessuno però mi ha mai spiegato la strategia vincente per proteggermi dall'amore. Quell'affetto agro-dolce che ti innalza fino a toccare il cielo, ma con la sua stessa intensità ti fa precipitare nella voragine della disperazione.

Dunque a cosa sono serviti gli anni di addestramento se alla fine sono inefficaci a disciplinare i sentimenti?

Mentre osservo Michelangelo afferrare la mano di Nari, per condurla davanti a un soldato che le sta porgendo un rametto d'ulivo, mi è palese il motivo per cui nessuno mi abbia mai riferito come curare il mal d'amore. Non esiste rimedio. Non esiste alcuna guarigione. È impossibile sfuggirgli, quando ti afferra non c'è modo di sottrarsi dai suoi artigli fatti di spine.

Una lacrima mi scende sulla guancia, la ricaccio via con il pollice nell'istante in cui la principessa afferra il rametto. Trattenendo il respiro, la osservo mentre lo ruota fra le dita e ne sfiora la superficie decorticata. Di pari passo i suoi capelli si riempiono di bagliori incandescenti che divengono vortici di fiamme. Arretro insieme a Ettore e molti ospiti seguono il nostro esempio. Ora capisco perché l'imperatore le ha dato il titolo di astro nascente. Sprigiona una tale quantità di calore da darmi l'impressione di essere vicina a una stella. Chul mi porge un fazzoletto, ma preferisco tamponarmi la fronte sudata con un tessuto che appartiene soltanto al mio regno. Mentre ricaccio il quadrato di stoffa nella tasca del vestito, osservo le mani della reale iniziare a brillare e dal polpastrello dell'indice destro si forma una piccola fiamma. È poco più grande di una nocciola, ma abbastanza ampia da avvolgere il diametro del bastoncino d'ulivo privo di foglie.

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