6. Poems

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Era solo uno stupido gioco, mi ripetevo quel giorno. Era stupido e un gioco come un altro, una maliziosa sfida a chi avrebbe scritto di più, a chi si sarebbe concesso con tutta l'anima. 
Lo sapevo io, lo sapeva Leo e lo sapeva la casella postale rossa nel quale stavo buttando con estrema attenzione la mia cartolina - una stupida cartolina. Raffigurava un gelato al cioccolato che diceva ad un altro gelato: "Non puoi comprare la felicità, ma puoi comprare un gelato". 
Era ridicolo, io ero ridicolo. 

Eppure mi divertiva, perché la sera prima - mentre parlavamo di come fossero andate le cose con mia madre, di come mi aveva parlato di mio padre e delle cartoline - era venuto fuori che a Leo piacessero davvero tanto le cartoline. Quando era piccolo ne aveva un cassetto pieno, dato che viaggiavano così spesso. Poi aveva dovuto dire addio a qualsiasi cosa che riguardasse sua madre e la sua vita nei primi undici anni, perciò non ci aveva più pensato. 
Ed io l'avevo incalzato, quasi malizioso, su come sarebbe stato eccitante inviarsi cartoline, nonostante ci vedessimo tutti i giorni. 

"Allora inviamene una. Mi raccomando, la più divertente cartolina che riesci a trovare. E scrivimi qualcosa che mi faccia piangere, magari." Aveva detto, e io pensavo scherzasse. Ma invece no, era serio come non mai. "Se me ne invierai una...io ti risponderò. Non vuoi sapere cosa ti scriverei, in tal caso?" Mi aveva sfidato, mi aveva modellato alla grande e ora...bé, ora gliel'avevo inviata davvero la cartolina. 

Mi morsi l'unghia del pollice in modo nervoso, chiedendomi se sarebbero state apprezzate le mie parole. 
Ci pensai tutto il giorno, e anche la notte. Era facile farsi prendere dalle paranoie quando si è da soli, mi resi conto. Leo aveva dovuto studiare e prepararsi per il torneo della settimana successiva e non potevamo vederci. Né sentirci perché, parole sue: "Anche solo sentire la tua voce mi distrae da qualsiasi cosa." E ci credevo, dato che avevamo sempre la bocca nell'altra e non facevamo che venire, venire dovunque ci capitasse. 
Non avrei mai pensato di avere così tanti orgasmi in un giorno e tutti con un'intensità tale da farmi pensare a quanto sia bello essere un adolescente arrapato. 

Il giorno dopo ci fu la gara che avrebbe sancito l'inizio delle Nazionali ufficiali di nuoto. Per la prima volta, decisi di presentarmi, anche se di nascosto. 
Neppure Kayl sapeva che fossi lì.

Nascosto dietro alla tribuna principale della Knights School, mi sentivo un po' più al sicuro da Ethan e dal suo gruppetto - anche se erano tutti concentrati a vincere, mi preoccupavo lo stesso. 

Vedere Leo in costume in live da uno schermo e vederlo dal vivo, erano cose troppo lontane. Il costume blu navy gli stringeva così tanto bene il fondoschiena che non riuscii a trattenermi dal mordermi le labbra. Ero sicuro che mi sarebbe venuto duro in poco tempo; magari avrei potuto dirgli di indossarlo qualche volta, solo per me. 
Quando poi iniziò i suoi esercizi di stretching pensai sul serio di correre davanti a lui e coprirlo col mio corpo, anche se ero sicuro si sarebbe visto comunque dato che era più alto e grosso di me. 
Le ragazzine dalle tribune non facevano che gridare il suo nome e cognome, come se gli appartenesse. Volevo dirgli che non era affatto così, che potevano sporgersi quanto volevano, ma avrebbe visto sempre e solo me. Mi sorpresi di quella mia piccola confessione, perché non avevo mai ritenuto niente davvero mio. Le poche certezze che avevo avuto nella vita erano sempre stati i miei amici, la mia famiglia e la mia casa. Ma ora era tutto diverso: stavo lasciando casa per un altro posto, Thomas era un adolescente con le sue crisi, mia madre stava recuperando la sua vita dopo tanto tempo e Liz e Kayl avevano il loro rapporto da sistemare. Non avevo certezze, non più. 
Ma avevo Leo, e Leo era mio, con o senza quel costume. E anche se il mondo non lo sapeva, e forse non lo avrebbe mai saputo. 

Il mio nascondiglio funzionò alla grande, fin quando non urlai il nome di Leo con tutta la voce che avevo in corpo, dopo che uno dei due signori della telecronaca avevano ufficializzato che era arrivato primo in classifica nel suo stile, quello del Delfino. 
Avevo gridato così forte che Leo, vicino al suo allenatore, si girò a guardarmi. Un momento dopo lo vidi col cellulare in mano ed il mio vibrò il secondo successivo. 

Bonjour, Oscar [hearts club the series #1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora