Capitolo 25

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ISABEL

Dopo la mattinata intensa io e Trevor continuiamo la nostra passeggiata per Boston. Ho sempre odiato questa città. È la città da cui mio padre mi ha portato più palline con la neve senza mai esserci stato e nemmeno se lo ricorda. Probabilmente nella mia vecchia cameretta ce ne erano cinque o sei, ma ricordo anche che quando mi ha regalato l'ultima, Trevor era lì con me e mi accarezzava la mano da dietro la porta per ricordarmi che lui c'era e che non mi avrebbe mai ingannata in quel modo.

Ormai sono mesi che penso a una possibile riappacificazione con i miei, ma non so ancora se sia la scelta giusta. Sono stati dei genitori orribili e hanno commesso troppi errori, ma stiamo per diventare genitori anche noi e probabilmente commetteremo ancora più errori di loro. Non si riesce a capire la mentalità dei genitori finché non lo si diventa e noi, anche se ancora non lo siamo, ci sentiamo già inadeguati e non all'altezza del bambino che sta per arrivare.

Mentre la mia mente è persa in questi pensieri, Trevor mi tiene stretta per una mano e l'altra l'ho poggiata involontariamente sulla mia pancia, lasciando qualche carezza al nostro bimbo.

"Tutto bene? Nausee o crampi?" mi chiede, notando che non faccio altro che toccarmi la pancia.

"Tutto bene. Un po' di nausea, ma nulla di preoccupante".

"Vuoi che ci fermiamo o che torniamo in hotel?" mi chiede premuroso.

"No, amore. Sto bene, davvero" lo rassicuro, mostrandogli un sorriso.

Trevor lascia la mia mano per portare il braccio intorno alle mie spalle e attirarmi a sé, baciandomi la tempia.

"Comunque siamo appena arrivati e questo posto è davvero rilassante, perciò se più tardi vorrai raccontarmi cosa ti passa per la testa sarò più che felice di ascoltarti" mi dice.

In quel momento mi rendo conto che stiamo entrando all'interno di un parco. Attraversiamo un cancello e su di esso c'è un cartello.

Boston Common
Parco cittadino più antico degli Stati Uniti

Avanziamo all'interno di quel giardino stupendo. Ci sono un campo da baseball, una statua di George Washington, un negozio per i turisti e dei tavolini per accomodarsi e godersi una bevanda fresca mentre si ammira il panorama. Trevor mi accompagna in un punto più appartato. Oggi il parco è davvero affollato, ma dove siamo noi ci sono pochissime persone e possiamo davvero goderci il pomeriggio immersi nel verde.

Trevor si toglie lo zaino dalle spalle. In effetti non ha mai portato uno zaino con sé, ma non gli ho chiesto nulla. Tira fuori una coperta rossa e lo aiuto a stenderla sul prato. Mi inginocchio su di essa e lui continua a tirare fuori altra roba.

"Un pic-nic?" gli chiedo, quando noto che sta tirando fuori del cibo.

"Sì, ti piace l'idea?" mi chiede quasi dubbioso.

"Da impazzire".

Mangiamo e beviamo una bevanda fresca, poi ci sdraiamo. Abbiamo tolto entrambi le scarpe e stiamo osservando il cielo limpido di questa giornata perfetta. Ho la testa poggiata sulla pancia di Trevor e lui sta accarezzando la mia, di pancia, muovendo le dita delicatamente.

"Prima, quando ero sovrappensiero, stavo pensando ai miei genitori" confesso.

Mi ha detto che avrei potuto parlargliene quando avrei voluto e voglio farlo. Rimane in silenzio. Prima di dire qualunque cosa vuole sapere il mio punto di vista, vuole lasciarmi libera di parlare e di sfogarmi perché sa che ne ho bisogno.

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