Tredicesimo

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Il lenzuolo era candido. Ne ero certa, l'avevo controllato almeno tre volte spostando lo sguardo in tutte le direzioni, in ogni angolo. Balzai giù dal letto e, davanti allo specchio, mi voltai: nulla, la mia camicia da notte color paglierino era intatta. Mi portai una mano alla bocca per trattenere l'urlo starnazzante di gioia che ne uscì. Quella stessa mano scese sul mio petto scivolando poi, lentamente, sul ventre. Sorrisi con le labbra, gli occhi, il cuore e l'anima. Salterellai agitando smaniosamente i pedi, poi mi bloccai. No. Devo stare calma. Ero la più felice delle bambine. Ma dovevo cercare di calmarmi, lo dovevo al mio bambino e lo dovevo al mio cuore. Lo sentivo. Potevo sentirlo crescere dentro di me, ma era presto. Questa consapevolezza smorzò il mio entusiasmo. Era fin troppo presto. Potevo dirlo a mia madre, a Costanza, alla Contessa e a mio marito. No, l'avrei tenuto tutto per me ancora un paio di giorni ma nel frattempo il mio cuore esplodeva di gioia. Per la felicità avrei fatto di tutto, ma non avevo il coraggio di fare nulla. In realtà, qualcosa la feci: scrissi una missiva a mia madre, quello stesso pomeriggio. Mi fece visita il giorno seguente e vidi della cauta felicità nei suoi occhi. Mi suggerì caldamente di tenere per me quella notizia ancora per qualche settimana. "È meglio che prima si veda" mi ripeté più volte durante il nostro incontro. E così io feci. Non dissi nulla a nessuno, neanche a Lorenzo. Nelle settimane successive la mia felicità vacillò. Non mi sentivo più così bene. Un giorno sentii le forze venirmi meno e l'appetito insieme a quelle. Il medico mi assisteva quotidianamente, ma non si accorse del mio stato ed io non gli diedi modo di sospettarne. "È meglio che prima si veda" continuavo a ripetermi nella testa. Non avrei sopportato se quella speranza fosse stata un illusione, uno stato evanescente, dopo gli occhi scrutatori, quelli compassionevoli di chi mi circondava sarebbero stati insostenibili. Così tenni il segreto, ma ogni notte, da sola nel mio letto, stringevo il mio bambino tra le braccia, accarezzandomi il ventre, cantandogli, talvolta una rassicurante ninna nanna; rassicurante per lui e per me. Quel rituale doveva dare forza a entrambi. Quando mi sentii meglio, qualche settimana più tardi, quell'abitudine restò. Mi ripresi, ero in forza e quando mi carezzavo il ventre riuscivo a scorgere un impercettibile rigonfiamento. Cosa poteva rendermi più felice? Solo una cosa: condividere quella gioia con l'uomo che amavo, con mio marito, quello era anche il suo bambino. Mi alzai dal letto, di scatto, le forze che mi erano mancate in quelle settimane tornavano con ancor più vigore. Era lui che voleva dirmi che finalmente stava meglio, stavamo meglio. Mi ero da poco ritirata nella mia stanza, ma sapevo che Lorenzo doveva essere ancora sveglio. Bussai, piano piano, alla porta comunicante con la sua camera. Entrai. Lui era disteso sul letto, la testa poggiata su un braccio e lo sguardo al soffitto. La candela sul comodino ancora accesa e i suoi occhi che luccicavano riflettendone la fiamma, così come il ciondolo della collana che portava al collo: era sveglio. Sollevò il viso e mi guardò, io ancora in piedi davanti alla porta, ancora aperta. Mi fissò qualche secondo, il viso oltre la spalla, il petto scoperto e il leggero lenzuolo bianco a coprirlo dall'addome in giù, faceva caldo in quelle sere. Un impercettibile sorriso sul suo volto mi ricordò di parlare, ma un inaspettato sentimento mi ordinò di non farlo.
– Volevo solo dirti una cosa, ma ora che ci penso non è importante – feci per voltarmi, ma non fui sicura che il mio corpo avesse risposto a quel comando.
Il suo sorriso si fece più intenso, non erano le labbra a sorridere ma gli occhi. Si sollevò su un gomito, poi sull'altro – Vieni qui.
Lo feci, mi avvicinai al letto e lui sollevò il busto sul materasso. Non riuscivo a capire se sotto il lenzuolo era pronto a prendermi. Così mi fermai ai piedi del letto ed un pensiero di preoccupazione si fermò nella mia mente. Volevo giacere con lui ma temevo per la delicatezza del mio stato
– Vieni – ripeté.
Protese il busto e le braccia in avanti, mi afferrò e mi portò sul letto, le spalle sul materasso ed il lenzuolo che lo scoprì totalmente. Mi baciò il petto, il collo, le labbra, passò le dita sui miei capelli arruffati dall'impeto di quel gesto, avevo da sempre preferito dormire con i capelli sciolti. Le miei mani sul suo petto per sentirne il calore, il desiderio che trasudava dalla sua pelle, mentre i respiri si facevano affannati.
– Fa piano – gli dissi, quando si preparò a spostarsi sopra di me.
Lorenzo si fermò su un fianco, col busto sollevato sul mio viso e mi fissò: gli occhi che scrutavano i miei, come a studiarne i pensieri, il ciuffo gli ricadeva sulla fronte. Si spostò e si distese nuovamente – Allora fai tu. Voglio vederti sopra di me.
Mi mise una mano su un fianco e poi mi avvicinò a sé. Capii. Sollevai il busto, ora lui disteso e io pronta a salirgli sopra. Lo feci senza indugio, ma indugiai quando lo sentii duro e pretenzioso sotto di me. Titubai ancora e lui mi afferrò per la schiena per trascinarmi sopra di lui, per baciarmi mentre con una mano spingeva il mio bacino contro il suo. Mi risollevai per permettergli di entrare meglio e quando lo fece cominciai a muovermi spingendomi sulle ginocchia, tenendomi alle sue spalle, lui alzò i polsi vicino al suo viso, totalmente sotto il mio controllo, la volontà dei miei movimenti, sempre più sicuri e profondi. Lo sentivo forte e deciso, il piacere crescere in me e mi sentii quasi in colpa per il mio bambino, ma che male poteva fargli? Cominciai a sudare, mentre lui sudava e ansimava sotto di me con le mani sopra le mie cosce, sopra i seni, sotto la camicia in seta. La sfilai da sopra, senza fermarmi e la sua mano si fermò sul mio ventre; rabbrividii. Lui aprì le dita, mostrò i palmi e appoggiai le mie mani alle sue, mi tenni a lui, le nostre mani strette mentre continuavo a muovermi sopra di lui. Fui presto assalita da un brivido che tornò più volte prima di liberarmi completamente da quella voglia e quel piacere finale, così forte e intenso che tremai e mi tremò la voce. Lorenzo sorrise, con gli occhi, si umettò le labbra e si rilassò distogliendo lo sguardo verso il comodino, soffiò e spense la candela. Sapeva che mi imbarazzava sempre il momento dopo il nostro atto d'amore e presi quel gesto come un favore che volle concedermi. Mi distesi di fianco a lui e dopo qualche istante allunghi la mano per cercare la mia vestaglia, per indossarla e dileguarmi nella mia stanza. Trovai la sua mano, anzi lui trovò la mia, bloccandomi il polso.
– Stanotte resti qui – disse.
Qualche giorno più tardi, la nostra casa avrebbe ospitato la festa di fidanzamento di Cecilia Lucardesi, la maggiore delle sorelle di Lorenzo, e io non avrei mai distolto l'attenzione di nessuno, tantomeno quella di mio marito, dal lieto annuncio. Così ogni flebile pensiero di parlargli al più presto svanì, ma era deciso, al termine di quella giornata gliel'avrei detto: quel gioioso segreto andava svelato. Ero pronta per scendere nella chiostrina ed accogliere i nostri ospiti. Avevo scrupolosamente pianificato ogni cosa e, prima di indossare l'abito verde e oro, avevo controllato che fosse tutto in ordine, e che ogni cosa fosse stata disposta come avevo ordinato. Ludovica agganciò la collana di perle e, dopo un'ultima rapida occhiata allo specchio della toletta, uscì dalla mia stanza. Passeggiai sul ballatoio ripercorrendo a mente tutte le disposizioni date ed effettuate, mi sporsi dalla balaustra in pietra che dava sul cortile per avere una visione più ampia della sala: era ancora vuota e silenziosa, gli unici ad animarlo erano valletti e camerieri che prendevano il proprio posto.
– È ancora presto – la calda voce di mio marito alle mie spalle.
Mi voltai. – Non così tanto da poterti permettere di non essere ancora in ordine.
Teneva le mani dentro le tasche, le uscì e prese a giocare con le bretelle che gli pendevano dai fianchi. Mi scoccò uno sguardo furfante – ma queste almeno le ho già messe.
Lo ammonii con lo sguardo, come si fa con i bambini.
– Farsi attendere non è mai un male – commentò lui sfrontato.
– Ma noi siamo i padroni di casa – gli ricordai.
Sorrise e allungo una mano sul mio viso, io la seguii con gli occhi finché il suo indice non si nascose dietro i miei capelli, sfiorandomi l'orecchio col palmo della mano. – E tu sei fin troppo in ordine – sfilò dall' acconciatura una ciocca di capelli che finì per ricadermi davanti l'occhio. – Così va meglio.
Non ebbi più nulla da dire. La mia cameriera aveva impiegato due abbondanti ore per realizzare quella pettinatura, avrei voluto protestare a quel gesto ma la trovai, inevitabilmente, la più dolce delle furfanterie. Portai la ciocca dietro l'orecchio. – I nostri ospiti saranno qui fra non molto tempo.
– Quanto tempo? – domandò con tono più basso, avvicinandosi furtivo di qualche passo.
Trattenni il respiro. Mi irrigidì. – Probabilmente anche adesso – Mi volta per controllare, mi era parso di sentire dei rumori ma non vedevo ancora nessun ospite e nessun valletto recarsi alla porta.
Lui si avvicinò di un altro passo.
Poggiai la schiena e le mani alla balaustra. Si attaccò a me, una mano sul mio fianco e l'altra a sollevare le mie gonne. Mi guardai nervosamente attorno e poi mi voltai di nuovo per tentare di affacciarmi. – Lorenzo... – farfugliai mentre i suoi respiri insistenti mi solleticavano il collo, e i suoi baci si facevano più lascivi. Due piani ci separavano dalla sala pronta per il ricevimento.
– Se vuoi possiamo restare qui a controllare – disse, facendomi voltare e poggiare il busto sul parapetto. La mia gonna si sollevò fino ai fianchi. Era presto. Farsi attendere era un bene.

Oggi doppio capitolo :)
Speriamo che la storia vi stia piacendo, fateci sapere!

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