Un mare di nuvole

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'Certe volte sento la mia vita sgretolarsi tra le dita, come se fosse fatta di piccolissimi granelli di sabbia. Infinitesime particelle che man mano perdono la loro capacità di rimanere coese, di stringersi ed assestarsi all'interno di una forma precostituita. E' una sensazione strana, profonda, che ha qualcosa a che fare con un senso di impotenza verso ciò che accade, verso le sensazioni che mi attraversano ogni giorno. È qualcosa di forte, inaspettato e...".
La mia voce si interruppe di colpo. Non riuscivo più a continuare. Mi ero stancata di quelle stupide sedute, come avevo fatto a farmi convincere da quella cretina di Monica? Pensai di getto.

Dopo qualche istante di silenzio ripresi le fila del discorso concludendo brevemente: "e, dicevo, sgradevole". Dopo aver pronunciato quelle poche sillabe alzai la testa con scatto felino per scrutare furtivamente l'orologio a pendolo posizionato di lato all'entrata dello studio.

Era un elemento interessante, produceva un ticchettio a dir poco ipnotico, un suono perfettamente scandito, talmente efficace da riuscire a farmi rilassare ogni volta dopo pochi minuti. Non so se fosse stato posizionato lì proprio a questo scopo ma, considerando le doti strategiche di chi era seduto dietro di me, lo escludo. 'Sarà un oggetto di famiglia' pensai, considerando la patina e i buchi di tarma presenti sul legno della scocca. 'Non male...' continuai a dire tra me e me, distogliendo l'attenzione da quel momento di silenzio imbarazzante.
'Non capisco perché se ne stia li zitta, scrivendo, scrivendo, scrivendo...ma scrivendo cosa di preciso? Ogni parola che avevo pronunciato nei minuti precedenti? Un dettato praticamente...' continuai, interrogando la parte di me che ancora aveva fiducia negli effetti positivi che avrei dovuto trarre da quella terapia.

Mentre tutti questi pensieri si accavallavano nella mia mente, continuavo a fissare l'orologio a pendolo, che perpetuava il suo moto incessantemente. In quel momento realizzai che se anche io avessi avuto la stessa ineluttabilità, la stessa fredda precisione di un ingranaggio tutto sarebbe stato più semplice. Avrei potuto oscillare indisturbata tra le onde di questa vita senza accorgermi di nulla, senza problemi, domande e paranoie. Chissà se la sua presenza in quella stanza non fosse proprio un segno, un'indicazione...nah, è semplicemente un film che sto facendo, dettato dalla noia del momento.

Mentre cercavo di schiacciare quei pensieri, mi soffermai sulle placche in ottone poste ai lati del vetro di protezione dell'apparecchio.
'Sicuramente sarà antico e costoso...e se riuscissi a convincerla che è ormai solo un legno vecchio, anche se di valore, forse potrei prenderlo e...chissà quanto potrei rivenderlo dal rigattiere sotto casa...' iniziai a riflettere d'improvviso, senza una precisa motivazione o nesso logico con quello che stava accadendo o con la precedenti considerazioni. Di certo mi avrebbe permesso di sostituire il vecchio frigo ad incasso, ormai datato, e con il resto del ricavato avrei potuto comprare una nuova tv per la camera.
'Non sarebbe male in effetti...' dissi tra me e me in fretta, senza nemmeno accorgermene.
A pensarci bene, ogni cosa in quell'appartamento era costoso, a partire dalle tende, in puro lino, passando per la scrivania in legno massello, alle sedute rivestite in vera pelle e alla chaise longue di design su cui ero sdraiata quel pomeriggio.

Erano ancora le 16.15, mancava più di mezz'ora ma non riuscivo ad aspettare, volevo andarmene, la seduta stava diventando più noiosa ed inutile del solito.
Dopo qualche secondo, mentre ero assorta nei miei pensieri, una voce stridula inizio a farsi sentire, come un sibilo fastidioso proveniente da destra.
Era la sign.ina Petruzzi, anzi, dott.ssa Petruzzi: "Da cosa pensa che dipenda questa sua condizione?" disse velocemente continuando a prendere appunti sul suo inutile taccuino.

'Ma che razza di domanda sarebbe questa? Come posso saperlo, dovresti dirmelo tu, sei tu la terapista!'. Pensai di fretta senza nemmeno rendermene conto, era stato un impulso automatico. Cercando di mantenere la calma replicai con voce monocorde:
"Non saprei"

Speravo che la risposta potesse stuzzicare la sua mente, spingendola ad approfondire il tema, ma non fu così. Iniziò a bombardarmi di domande, sempre le stesse, ripetute milioni di volte durante le sessioni di terapia passate. 'Non capisco perché ogni volta ci sia bisogno di ritornare sugli stessi concetti...davvero non ci arrivo' pensai mentre tentavo di mantenere la calma, facendo la mia parte e cercando di far fruttare tutti i soldi anticipati alla sua segretaria.
Non erano di certo pochi spiccioli, non potevo permettermi di gettarli stando in silenzio per tutto il tempo, anche se avrei preferito questi'ultima opzione. Dovevo provare a fare qualcosa, forse ripetere e ripetere le stesse maledette cose avrebbe portato ad un miglioramento. Fin'ora non avevo notato nemmeno un micro passo in avanti, uno spiraglio di speranza. Nulla. Forse ero troppo dura con la dott.ssa, forse ero io che non riuscivo a farmi capire, anche se mi sembrava di parlare correttamente, in modo chiaro, scandendo bene le parole. Probabilmente stavo buttando i miei risparmi in qualcosa di non adatto a me, ma dovevo ancora aspettare per fare il mio giudizio definitivo. In tutto ciò continuavo a parlare, senza pensare a ciò che stessi dicendo. Conoscevo troppo bene quelle storie, non avevo bisogno di badarci, potevo far lavorare la mia lingua e le mie labbra autonomamente, come degli operai puntuali, che eseguono freddamente il loro lavoro senza porsi domande.

Mentre gli addetti a questo oneroso compito procedevano con successo, io ero altrove, fissando il mare di nuvole che danzava fuori dalla finestra.

Eroma. Il rumore della città Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora