Ho fatto un sogno tempo fa.
Ero in un campo fiorito, indossavo una sorta di sottoveste di cotone bianco lunga abbastanza da arrivare sotto le ginocchia. Ero scalza, sentivo i fiori accartocciati sotto la pianta dei piedi e il ronzio le api che mi gironzolavano attorno. Alzando lo sguardo da terra e guardando di fronte a me, riuscivo a vedere il lontananza un gruppo di persone indistinte che camminavano a passo svelto verso un'unica direzione. Incuriosita dal brulicare di quelle figure provai a seguirne il movimento, ma non ne ero capace. Le dita erano come incollate a quei fili verdi che mi circondavano. Provavo a muovermi ma niente da fare, non c'era verso. A quel punto cercai disperatamente di spingere le ginocchia dinnanzi a me, piegandomi e lasciandomi in avanti con le braccia, ma nulla, ero inchiodata li, in quel preciso punto del prato mentre tutti gli altri procedevano per la loro strada senza difficoltà.Non so dire se quello fosse un sogno ricorrente, ma posso dire con certezza che questa sensazione di immobilità rispetto al mondo non mi ha mai abbandonato. Con il passare del tempo si era acuita, radicandosi sempre di più, facendosi spazio tra quei barlumi di autostima che occasionalmente riescono a sopraffare la tenacia di quel pensiero.
Quel senso di impotenza riaffiorava anche guardando in strada il camion dei traslochi che intanto aveva iniziato a svuotarsi del suo contenuto.
'Ma quanta roba c'è lì dentro...' pensai d'un tratto dopo aver osservato la scena per diversi minuti. Tappeti, mobili d'epoca, piante da interno, un pianoforte a muro e tantissime scatole con la scritta 'fragile'. Davvero un'esagerazione pensando alla grandezza dell'appartamento.
'Dove la metteranno tutta quella chincaglieria. Non capisco la necessità della gente di riempire le case di oggetti...' continuai a parlottare tra me e me procedendo nella mia attività. Avevo sempre odiato l'idea di vivere in uno spazio pieno di cose. Questa insofferenza sarà probabilmente una reazione contraria all'atavica mania di mia madre di accumulare piccoli, orrendi ed inutili oggetti. In effetti, a pensarci bene, anche se gran parte dell'appartamento era stato ampiamente ripulito dalla sottoscritta dopo il divorzio, rimanevano ancora dei piccoli angoli della casa in cui venivano nascoste statuine, pupazzetti, vecchi taccuini ed altro materiale indistinto. Erano degli antri minuscoli, ai margini dello spazio visibile. Queste superfici venivano periodicamente ripulite ed altrettanto periodicamente riempite, come se un folletto dispettoso volesse farmi impazzire utilizzando gli oggetti come chiara attestazione la sua esistenza. In realtà era solo la mano di Clara, intenta a lasciare la sua impronta ovunque, ora nascondendo un libro dietro i cuscini del divano, ora lasciando una molletta sull'armadio, ora facendo cadere un rocchetto di filo bianco nel cassetto delle posate. Tutto questo andirivieni di elementi mi disturbava ma allo stesso tempo mi divertiva. Sapevo che prima o poi proprio in quel punto, sopra il termosifone del bagno, avrei trovato lo stesso libro che avevo già tolto la settimana precedente e che, dopo vari improperi, avrei di nuovo rimesso al suo posto. Tuttavia amavo quella strana routine, partecipare a quel gioco sottile tra madre e figlia, a quella sfida continua tra due personalità opposte mi faceva sentire parte di una dinamica unica, solo mia e sua.'Beh, torniamo dentro' pensai mentre distoglievo lo sguardo dal lavorìo degli operai in strada, intenti a trasportare pesanti scatoloni verso il portone d'ingresso al nuovo appartamento. Ormai la terra era zuppa e il piattino di raccolta sotto i vasi traboccava d'acqua. Avevo esagerato come sempre ma, considerando il vento caldo di quelle giornate, ero sicura che il pavimento, coperto da tanti piccoli aloni bagnati, si sarebbe asciugato in fretta. In cucina c'era ancora mia madre. Ignara della mia presenza continuava ad agire indisturbata, agitando e tagliuzzando gambi di sedano come se non ci fosse un domani. La musica ad alto volume era ancora nell'aria ma non la sentivo più. Era un sottofondo soffuso che mi accompagnava nel breve percorso verso la camera.
Le pareti di quel piccolo spazio erano di un arancio vivace, come quello un tramonto estivo, i mobili bianchi la illuminavano e gli armadi a specchio moltiplicavano lo spazio, riflettendo le pareti circostanti. A volte la osservavo. Rimanevo sulla soglia della porta con la testa appoggiata allo stipite e le mani in tasca. Li iniziavo a fantasticare, a pensare che un giorno quella camera sarebbe appartenuta ad un'altra persona; qualcun altro avrebbe dormito su quel materasso, avrebbe cambiato le tende, avrebbe riempito le mensole con nuovi vestiti, avrebbe vissuto in un modo diverso, forse migliore del mio, quello spazio. Si, avrei voluto inscatolare tutto, metterlo su un camion e partire verso una nuova meta, lasciandomi alle spalle tutto il resto, ricominciando da capo, ricominciando da me."Ma, faccio una telefonata, potrei non sentirti in caso volessi dirmi qualcosa" dissi con tono squillante mentre la porta della camera si chiudeva dietro le mie spalle. In realtà avevo solo voglia di restare da sola per schiarirmi le idee su quanto accaduto, o meglio non accaduto, durante la seduta di terapia. Dovevo decidere se continuare con quelle conversazioni a pagamento, come mi piaceva definirle, o desistere una volta per tutte mettendomi l'anima in pace e dicendo a me stessa che, prima o poi, avrei potuto risolvere benissimo da sola quelle piccole ansie quotidiane.
Distesa sul letto sezionavo la moltitudine di pensieri guardando il soffitto. Gli ultimi raggi di sole del pomeriggio attraversavano il leggero tessuto delle tende, creando strane ombre sulle pareti. Girandomi su un fianco fissai una di queste forme sulla parete bianca accanto alla porta. Era una sagoma allungata, sembrava quasi una persona.
'Tu chi saresti? Il mio angelo custode forse?" dissi a bassa voce rivolgendomi a quell'entità misteriosa.
"Beh, chiunque tu sia posso dirti che non so minimamente cosa fare, non so come uscire da questo buco in cui sono finita, in cui sto stretta, davvero molto stretta...forse tu puoi aiutarmi a capire come riuscire a cavarmela, che ne pensi? Mi aiuterai? Non voglio chissà cosa, solo un consiglio, un segno..."'Ma che cavolo sto facendo, ora parlo anche con i muri...sto messa male sul serio' sussurrai a me stessa sedendomi sul bordo del letto, continuando a fissare la parete davanti a me.
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Eroma. Il rumore della città
Ficção GeralCarlotta odia la sua città, il suo lavoro, la sua famiglia e i suoi amici. Dentro di lei qualcosa si è rotto ma non riesce a comprenderne la causa o non vuole ammetterla. Solo attraverso un percorso introspettivo ed un'amicizia inaspettata riuscirà...