Quel che rimane

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'Oddio... è g...gelata' dissi di getto con tutto il fiato che avevo appena riemersa dall'acqua.
Come cavolo mi era venuto in mente di fare il bagno a quell'ora, per giunta vestita?
Eppure, nella sua stranezza, quell'atto spontaneo mi suscitò una sensazione mai provata prima, un senso di libertà e pienezza. Ero finalmente andata contro la logica, contro la razionalità, almeno per una volta. Prima di quel giorno non sarei mai stata capace nemmeno di partorire un pensiero talmente istintivo e semplice.

Dopo essermi ripresa dall'impatto ghiacciato iniziai a galleggiare cercando di raggiungere il punto in cui mi era impossibile sentire il fondale con i piedi. Quella sensazione di vuoto mi suscitava paura ed euforia allo stesso tempo. Mi guardai attorno, ero sola, non c'era anima viva tra quelle timide onde. A quel punto iniziai a provare un senso di angoscia, come avrei potuto chiedere aiuto in caso di un malore? Chi avrei potuto chiamare in quella fascia di città praticamente deserta e chi sarebbe riuscito a sentirmi a quella distanza?
Il mio cervello era entrato in un loop di paranoie senza fine.

'Dai...non ti succede niente...' continuavo a ripetermi incessantemente.
'Dai...dai cazzo, non fare la pappa molle...sei tu che sei arrivata fin qui e adesso ci resti...ci resti...oh'.
Sussurravo a me stessa cercando di persuadere e convincere il mio stesso cervello che sarebbe andato tutto bene, non c'era motivo di agitarsi.
'Pensa a quanto è bello il cielo da qui, pensa a quest'acqua limpida...ah sì, adesso...adesso...si, adesso proviamo a vedere cosa c'è qui sotto'
dissi con tono più convinto guardando verso l'orizzonte, come se qualcuno potesse sentirmi e darmi man forte.
A quel punto, senza dare il tempo ai pensieri negativi di sopraffarmi, andai giù.

Non ero mai stata abituata ad immergermi completamente, nemmeno in piscina. Avevo sempre preferito rimanere in superficie per controllare cosa accadeva intorno a me. Fondamentale avevo paura di assaggiare davvero le cose belle, preferivo tenerle a distanza per paura di rovinarle e di farmi coinvolgere al punto da non poterne più fare a meno. Ero perfettamente cosciente delle mie paure e della mia incapacità di affrontarle. Fino a quel momento l'analisi non aveva fatto alcun effetto, o meglio, aveva svuotato le mie tasche. Evidentemente non era il percorso giusto per me nonostante questo tipo di terapia avesse davvero aiutato molte persone ad uscire dal guscio. Forse la mia corazza, a differenza delle altre, era troppo dura per essere scalfita solo da parole, necessitava di un urto.

Mentre questi pensieri gravitavano confusamente nel mio cervello, gli occhi erano ancora chiusi. Prima di esplorare il mondo che si nascondeva sotto il pelo dell'acqua stavo cercando di ambientarmi, allineando il più possibile la temperatura corporea a quella del fluido.

'Ma che...che...'
Ad un tratto sentii un qualcosa di viscido e gommoso sulla caviglia.
A quel punto le palpebre si spalancarono. Le pupille cercavano disperatamente di capire cosa stesse accadendo intorno a loro per identificare il problema e darmi modo di risolverlo.
Tuttavia non riuscivo a vedere nulla, l'acqua era troppo profonda e il sale iniziava a darmi fastidio.
A quel punto decisi di tornare a riva sperando che, agitando le gambe, quella cosa si sarebbe staccata da se.

Iniziai a nuotare goffamente verso la battigia su cui i bagnanti più incalliti avevano già iniziato a scegliere l'angolo più pulito su cui fissare l'ombrellone e posizionare gli asciugamani a favore di sole.

Il caldo iniziava a farsi sentire anche in acqua, la brezza era svanita e tutto sembrava estremamente confuso. Appena raggiunta la riva uscii dall'acqua e, ancora fradicia, mi diressi verso la borsa che avevo imprudentemente lasciato incustodita. A quel punto sentii una voce rauca provenire da sinistra: 'Giornataccia?'
Mi voltai di scatto e vidi una vecchia signora con un costume intero e una sigaretta nella mano destra. Mi fissava con aria sicura, come se sapesse già tutto di me.
'Beh... non proprio...' risposi a mezza bocca continuando a rovistare nelle tasche per capire se fosse tutto ancora li.
Dopo aver tirato l'ennesima boccata, guardando le piccole onde che si accavallavano in lontananza, replicò:
'Non saprei, a vederti sembri abbastanza spaurita...d'altronde se una ragazza giovane e bella decide di buttarsi in acqua ancora vestita sono due le cose: o è una pazza o ha qualche dispiacere'.
Colpita e affondata.
Quelle frasi mi fecero voltare di scatto verso di lei con aria colpevole. Aveva capito tutto senza nemmeno conoscermi, come era possibile? Ero impietrita, non sapevo cosa fare, cosa dire, se direi qualcosa.

Dopo qualche secondo lei ruppe quel silenzio imbarazzante:
'Tranquilla, capita a tutti. L'importante è lasciar andare ciò che non è più risolvibile. Finirai solo per farti male. Fidati, ne so qualcosa, non ne vale la pena'.
Aveva proprio ragione. Dovevo smetterla di nascondermi rinunciando a tutto ciò che la vita avrebbe potuto offrirmi solo per paura di soffrire.
A quel punto le risposi balbettando:
'Si, in effetti...ha ragione, lo sapevo gia...sto...sto bene ora, gra...grazie'.

'Se ne sei così sicura, buon per te. Ma ricorda, quel che rimane alla fine sei e sarai sempre tu, il resto non conta' concluse lei alzandosi dalla sdraio sulla quale era rimasta seduta per tutto il tempo e avviandosi verso l'acqua.

L'aria calda mi sfiorò il viso, era ora di tornare a casa.

Eroma. Il rumore della città Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora