7. Happily ever after

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Is worth, is worth, is worth the pain
The friends we make, the love it takes
It's worth, it's worth, it's worth all this time.

Louis Tomlinson

Non sa quanto ci voglia a consumare un tappeto, semplicemente con la suola delle scarpe, a forza di camminarci su, ma sa che non è molto lontano dallo scoprirlo, visto che sta camminando da qualcosa come un'ora, avanti e indietro sullo stesso identico punto, lasciandosi sfuggire borbottii scomposti, rivolti al nulla oltre che alle quattro pareti che lo circondano.

È mattina presto, l'alba si sta introducendo nella stanza da forse qualche minuto. La sfumatura rosea del sole, va a posarsi leggiadra lungo il suo viso, accarezzandogli la pelle. Il silenzio del castello è coperto dai suoi pensieri, che non fanno altro che tenerlo sveglio da notti intere. E sa che è lui, la causa del suo stesso male. È lui, che si sta complicando da solo, una cosa che in realtà da fare, è molto più semplice di quello che si sta organizzando in testa da giorni. Ma d'altra parte, si parla di Harry, del suo Harry e non si merita solo le cose semplici, vuole dargli qualcosa che gli faccia sentire tutto il valore che lui gli attribuisce, vuole mostrargli quanto spazio occupa nel suo cuore e soprattutto di quanto abbia bisogno di averlo nella sua vita.

I fogli sgualciti, testimoni del cruccio che lo insegue da giorni, sono posati sul tavolino al centro della stanza, con le idee che ha scartato, quelle non all'altezza di Harry.

Esce sul balcone, collegato alla camera da letto. L'aria gelida di fine gennaio gli gela il respiro mentre si infrange contro il suo corpo, coperto solo dal pigiama in flanella. I piedi nudi sulle mattonelle fredde. Appoggia i gomiti sul parapetto, cercando quella casetta nell'orizzonte, quella dove si rifugiava sempre quando si sentiva perso.

Ironicamente

Quella che era casa di Harry.

Glielo aveva raccontato una sera di quasi due anni prima, una delle prima che Harry trascorreva al palazzo. Forse era passata una settimana da quando si erano ufficialmente messi insieme.

Harry stava sempre sulle sue, chiuso o nella sua camera o a passeggiare nel giardino , possibilmente da solo. Gli faceva dolorosamente male vederlo così, in balia degli eventi e spaventato. Sapeva che si stava abituando a quella nuova vita e lui gli avrebbe concesso tutto il tempo del mondo se era quello di cui aveva bisogno, ma voleva comunque aiutarlo. Quindi una sera, aveva bussato delicatamente nella sua camera. "Si può?" Harry gli aveva dato il permesso e l'aveva accolto, silenziosamente seduto sul letto con lo sguardo basso. Aveva posato il vassoio con la cena sul tavolino di fianco alla finestra e si era messo vicino a lui. Lentamente aveva avvicinato la mano al suo ginocchio, in una richiesta silenziosa di concedergli almeno quel gesto. Harry, glielo aveva lasciato fare, mentre si faceva scappare un sospiro sommesso quasi arreso.

"Amore." gli aveva mormorato, un dito sotto al suo mento per spronarlo a guardarlo negli occhi. "Vuoi parlarne?" era inutile chiedere se andasse tutto bene o se ci fosse qualcosa fuori posto, era chiaro che un problema esisteva e lui, tutto quello che desiderava, era prendersene carico.

"Scusa." gli aveva bisbigliato Harry, prima di scoppiare a piangere direttamente sul suo petto. Le mani accartocciate sul viso e le spalle scosse da forti singhiozzi, trattenuti da chissà quanto tempo. "Mi dispiace così tanto Louis, io- scusami." continuava a ripetere. Per quanto non capisse da cosa fossero provocate quelle scuse, la sua priorità, era solo aiutarlo, farlo parlare, capirlo. Quindi, lo aveva lasciato sfogare, gli aveva permesso di lasciarsi andare e affidarsi a lui. Gli aveva accarezzato con calma la schiena, in una rassicurazione silenziosa, supplicando senza dirlo ad alta voce, di fidarsi di lui.

Cinderella |L.S.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora