Capitolo 5 - I biscotti non sono per te

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«Io non capisco,» sbottò Stacy, sfornando la prima teglia di biscotti con gocce di cioccolato della serata. «È un manzo alto un metro e tanta voglia di spogliarti con gli occhi, è forse il giocatore di hockey più sexy che quest'università abbia mai visto, perché siamo arrabbiate con lui?»

Il biglietto di scuse spiegazzato (forse e dico forse potrei averlo chiuso e riaperto un po' troppe volte) giaceva in mezzo a noi, steso sul bancone di marmo dell'isola-tavolo-per-la-colazione-tavolo-da-pranzo-di-casa-nostra.

«Siamo?» domandai con l'ombra di un sorriso tra le labbra. Erano dieci minuti che mi tenevo la testa tra le mani ed ero sul punto di diventare una statua di sale.

«Ehi, se tu sei arrabbiata con qualcuno lo sono anch'io.»

Sbuffai fuori l'aria e una mezza risata.

«Non sono arrabbiata... sono infastidita

«E perché siamo infastidite?»

Adesso il profumo di biscotti invadeva la cucina. Inalai a fondo, concedendomi solo per qualche secondo il lusso di immaginarmi in una stanza piena di luce, circondata dalla mia famiglia. Era l'effetto che le piccole palline di carboidrati di Stacy - e lei stessa - mi facevano.

«Perché ha occupato il mio spazio vitale senza autorizzazione, perché me lo ritrovo sempre in mezzo ai piedi, perché gli riesce benissimo di fare lo stronzo solo per farmi incazzare...» iniziai a brontolare allungandomi per prendere un dolcetto. Riuscii nell'impresa ma mi beccai un leggero schiaffo sulla mano in risposta. «Ahia.»

«Questi biscotti non sono per te, Gwen,» mi rimproverò, con l'espressione di una mamma che riprende un bambino maleducato. «E comunque, non mi sembrano dei motivi validi per prenderla così male. È stato piuttosto gentile alla fine no? Ti ha chiesto scusa. Sono sicura che nel suo cervelletto di maschio tirarti le trecce è il suo modo per dirti che gli piaci. Ma se dovesse andare oltre, dimmelo e troverò il modo di seppellirlo nel giardino,» sputò fuori senza quasi respirare. Detto questo, cominciò a sgranocchiare un biscotto camminando verso il divano. La seguii a ruota e mi accucciai sul tappeto morbido.

«Non lo so, non sono ancora sicura di volerlo sotto un metro di terra, lo trovo solo tremendamente irritante,» commentai, arrossendo per la mezza verità che avevo appena pronunciato. In realtà non lo trovavo solo irritante, lo trovavo anche assurdamente bello, affascinante, sensuale e tante altre cose che avrebbero portato in stanze con materassi e lenzuola e candele e vestiti sul pavimento in cui non volevo entrare. Scacciai il pensiero scuotendo la testa.

«Perché non gli dai una possibilità?» Stacy scivolò alla mia altezza e mi prese le mani fra le sue. Profumava di zucchero. «Non esci mai con nessuno, G.»

La guardai torva. «Non è vero, esco con te.»

Alzò gli occhi al cielo. «Certo, ma non sono la tua fidanzata. E, per la cronaca, se tu fossi stata lesbica ci avrei provato il primissimo giorno.» Ridemmo. «Dico sul serio, G. Dovresti dargli una possibilità.»

Sfilai una mano e mi strinsi il ponte del naso tra il pollice e l'indice. Lei si rabbuiò.

«Non posso,» sussurrai. Quando la guardai negli occhi capii che sapeva che c'era qualcosa che non ero pronta a condividere nemmeno con lei. Era più intelligente di quanto la maggior parte delle persone pensasse e più empatica di tutti loro.

«Perché?» domandò, la voce un soffio di vento. Mi si strinse il cuore. Eravamo amiche da tanto, la consideravo una sorella. Dannazione, a quel punto era tutta la mia famiglia e desideravo con ardentemente smetterla di nascondermi, almeno con lei. Volevo parlargliene ma non ne avevo la forza. Non avevo la forza di sopportare la pietà che sapevo avrei letto nel suo sguardo, la stessa che avevo visto in quello dei miei fratelli. E avevo paura, paura che se avessi lasciato filtrare qualcosa di quella notte, se avessi cercato di riportare alla mente tutto ciò che era successo, non sarei più stata in grado di rinchiudere il genio nella bottiglia. O il mostro nell'armadio.

Come acqua nel desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora