Capitolo 7 - Un dolore così grande

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Gwen

L'avrei fatta pagare a Stacy, oh, se gliel'avrei fatta pagare.

Non solo mi aveva trascinata fin lì, ma mi aveva anche abbandonata a me stessa. Per fortuna, oltre alle mie barrette, avevo i suoi biscotti. Mi aggirai un po' per le stanze del piano terra della confraternita, non ero solita entrarci. Nel mio girovagare scoprii che le ragazze lì si trattavano bene; oltre a varie sale studio, piene di mac, quaderni ad anelli fucsia e pantofole pelose, c'erano anche una sala con un televisore enorme, una piccola camera con un parquet e uno specchio – per il pilates? – e una stanza relax con divanetti e puff dall'aria davvero morbida. Quest'ultima camera era dotata di grandi vetrate che si affacciavano sul giardino sul retro e lasciavano intravedere una piscina illuminata da due serie di faretti subacquei. Il risultato era una pozza blu scintillante in un mare di verde scuro. Forse avrei dovuto farmi qualche amica, tra loro.

Sin dal primo giorno avevo vissuto solo con Stacy, nel nostro bilocale, e non avevo molte conoscenti da andare a trovare in posti come quello. In generale, mi risultava difficile entrare in confidenza con altre ragazze. Non ero propriamente tipa da party sfrenati. Cero, mi piaceva la musica e mi piaceva ballare, amavo meno le ascelle sudate, il vomito negli angoli e le mutande lasciate in giro dagli altri studenti. Inoltre, gran parte del mio tempo era occupato dalle lezioni, dovevo mantenere un'ottima media per non perdere la borsa di studio di Biologia.

Finii il drink che mi ero portata dietro subito dopo il mio ingresso nella giungla di studenti un po' alticci e mi guardai intorno per individuare un cestino. Se c'era una cosa che detestavo era lasciare in giro bicchieri e cartacce. Quanto poteva essere difficile trovare un posto in cui buttare le cose?

Sì, dentro di me viveva una vecchietta di settantasette anni. Ne ero ben consapevole e, a tratti, orgogliosa.

Nel labirinto di porte, archi e corpi trovai la cucina. Lasciai andare un sospiro di sollievo e mi ci infilai dentro, schivando due ragazzi che si rincorrevano spruzzandosi addosso della birra. La musica, lì dentro, arrivava leggermente più ovattata. Quasi si riusciva a sentire cosa dicevano le persone. Buttai il bicchiere e notai in mezzo alla stanza un gruppo di ragazzi e ragazze che stava giocando al gioco della bottiglia sulla grande isola in marmo. Gli girai attorno e mi sedetti su un bancone, invisibile come sempre e ben lieta di esserlo. Sfoderai il mio tupperware ripieno di biscotti e rimasi a fissare il gruppetto. Era divertente osservare gli altri interagire senza doverlo fare in prima persona. Potevo valutare l'interazione tra organismi in un habitat protetto e il loro comportamento come in laboratorio. Una ragazza dai capelli biondi voluminosi girava con enfasi la bottiglia, come se stesse facendo vorticare la lancetta di una ruota a premi. Probabilmente sperava di vincere un giro sul ragazzo alto e muscoloso dall'altro lato del tavolo. A giudicare dalle occhiate che si lanciavano, avrebbero potuto passare ai preliminari anche senza l'aiuto di un oggetto di vetro rotante.

«Ellen!» esclamarono in gruppo. La bionda si morse il labbro, non troppo entusiasta. Le era toccata una ragazza e non sembrava nemmeno il suo tipo. Era più bassa di lei, con occhiali grandi dalla montatura viola e una bocca larga. La biondina si sarebbe visibilmente voluta tirare indietro ma Ellen non glielo permise. Le regole sono regole. Sgranocchiai il primo biscotto e le osservai sparire dietro la porta della dispensa – niente sgabuzzino nella cucina della confraternita. Le immaginai pomiciare tra i barattoli di proteine e i pacchi di biscotti dietetici. Poverini. Non dovevano essere maltrattati solo perché senza grassi, glutine, zuccheri o biscotti.

Quando riapparvero, dopo parecchi minuti, la bionda non sembrava poi così contrariata e non degnò più di uno sguardo il ragazzo tutto muscoli e niente arrosto.

Al biscotto numero due, e all'ennesimo sorso dalla lattina di birra che avevo sgraffignato da una mensola, decisi che avrei potuto sfruttare quell'occasione per studiare un po' la Studente Populari, la specie più temuta della Royal: gli studenti famosi che si pavoneggiavano nel loro ambiente naturale e si sfidavano a fare cose stupide come passarsi i germi di bocca in bocca.

Come acqua nel desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora