Diciotto. La carrozza di Sharlisse.

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Sharlisse aveva speso l'intero giorno seguente ad ignorare la sua auto-eletta guardia personale e a chiacchierare con Mimi e Diaiana.

Aveva mangiato un paio di sogni ma non erano stati sufficienti. Una parte di lei era consapevole che c'erano ancora dei buchi nel suo passato e finché non li avesse colmati non si sarebbe sentita completa.

Così, dopo aver speso la giornata a rimuginare, si trovò distesa sul proprio letto a vagliare le proprie possibilità, arrivando sempre allo stesso punto.

«Devo rubare un altro sogno d'infanzia» ammise a sé stessa e al gatto mannaro la cui perenne presenza era a momenti stancante e altri rassicurante.

Attila mosse appena un orecchio e aprì un occhio in una fessura.

«Ti avevo detto di non affezionarti» la rimproverò, il tono duro.

«Non lo sono» rispose lei automaticamente.

Si alzò sui gomiti. Osservò il gatto dall'alto al basso. Aveva ragione lui? Aveva davvero commesso un errore così sciocco?

«Sono dei cuccioli, nessuno resiste ai cuccioli, non trovi?» gli domandò, cercando di giustificare la propria debolezza.

Attila sbadigliò. Non sembrava per niente impressionato dall'argomento.

«Puoi tenere uno o due cuccioli addomesticati, Sharlisse; non dimenticare però che non sono animali da compagnia, ma da macello» le ricordò, lapidario.

Sharlisse si allungò fino a sfiorargli il capo, grattandolo leggermente dietro alle orecchie.

Il gatto mannaro si sciolse in quella languida carezza, rendendolo irriconoscibile dal piccolo guerriero che l'aveva appena rimproverata saggiamente.

Sharlisse era ipnotizzata dalla capacità di Attila di cambiare così facilmente, abbandonandosi completamente alla propria natura ambivalente.

«Da quando sei così saggio?» gli domandò, calcolando che non aveva più di due settimane di vita.

Stuzzicato, il gatto cominciò a fare le fusa. «Ho lasciato la mia infanzia alle spalle la notte in cui sei scappata» affermò, senza rancore nella voce. «Trasformarmi, nutrirmi per davvero, ricevere un nome... Sono cresciuto.»

Lei annuì. Spinse il naso nel pelo sulla sua pancia e inspirò quell'odore caldo che le ricordava la sua famiglia.

«Devo tornare al deposito delle carrozze, Attila, e questa volta non posso portarmi dietro pesi» gli comunicò, alludendo alla sua prima uscita.

Alzò il viso e incrociò lo sguardo dell'animale. «Puoi fare in modo che questo succeda?»

Il gatto chiuse gli occhi per un secondo, in segno affermativo. «Posso farti da unico accompagnatore» sottolineò, infrangendo sul nascere qualsiasi protesta sulla propria presenza al fianco della figlia del sangue.

Sharlisse annuì. Non era lui il peso di cui voleva liberarsi. «Grazie.»

Attila sbadigliò e saltò giù dal letto, uscendo dalla stanza con passo felpato. Ritornò dopo una decina di minuti, le fusa nella gola e lo sguardo soddisfatto.

«Fatto?» chiese conferma la figlia del sangue, curiosa di sapere se la missione del micio era andata a buon fine.

Lui annuì e si leccò una zampa. «Ma non potrò rifarlo, se sarà necessario» la avvisò, il tono cupo. «Lish e Calasthero sono dei validi opponenti.»

Sharlisse annuì. «Farò sì che non lo sia» gli assicurò, lasciando la stanza.

Non incontrò nessuno nei corridoi e uscì dalla locanda senza che alcuno la vedesse o sentisse. Per qualche passo temette di venire ripresa da Calasthero o Lish, ma non sentì nessuna voce chiamarla.

Con la sola compagnia del gatto mannaro e l'aiuto delle luci della stazione, la figlia del sangue tornò senza difficoltà alla panchina che aveva creato il giorno prima.

Sedette, guardando il deposito, ascoltando ogni rumore.

Lish aveva detto che doveva solo chiedere, così fece.

«Vorrei una carrozza che mi porti alla Foresta dei Sogni Rubati, per favore.» L'educazione era una magia che veniva sottovalutata fin troppo spesso: quando si ha a che fare con qualcosa che non si comprende o di invisibile, è meglio mettersi in animo di essere il più gentili e comunicativi possibili.

Nessuno voleva essere arso vivo per non aver detto per favore.

Come il giorno prima si sentì una sciocca. Ma questa volta non ci fu nessuna crescita miracolosa di un albero dalla forma di carrozza e un vivace cocchiere che la invitasse a salire a bordo e a pagare il biglietto.

Non successe proprio nulla.

Sharlisse fu tentata di ripetere la domanda, ma prima che potesse aprire bocca venne investita nuovamente da una folata di vento improvvisa.

Attila rizzò il pelo, guardando il vuoto.

Anche questa volta, come era arrivato, il vento cessò.

«I gatti vedono ciò che gli uomini non osano guardare» disse a mezza voce Sharlisse, accarezzando Attila con fare tranquillizzante. «I figli del sangue cantano ciò che gli uomini non osano pensare» continuò, alzandosi dalla panca.

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.

Quando li riaprì, cominciò a cantare.

«Volgi il viso verso il sole,

Lascia cadere le ombre dietro te.

Dì una preghiera, vai sempre avanti

E le ombre non ti troveranno».

L'aria invisibile davanti a lei sembrò tremare e strapparsi sotto i suoi occhi, richiamata dal canto.

«Volgi il viso opposto al sole,

Lascia cadere le ombre davanti te.

Dì una preghiera, vai sempre avanti

E le ombre ti divoreranno».

L'eco della sua voce si infranse contro il muro d'aria che oscillava davanti a lei, rivelando la vera forma di colui che aveva provocato la folata di vento.

Sharlisse non credette ai propri occhi.

«La canzone del sud e la canzone del nord» disse con voce bassa e gorgogliante il possente drago che era comparso al suo cospetto. Le scaglie riflettevano i colori delle luci della stazione, dando l'illusione che anche lui ne fosse parte.  «Ma non bastano, figlia del sangue. La terza strofa è il biglietto. Senza di essa, io non ti porterò.»

Sharlisse annuì e fece un inchino alla possente bestia che si credeva estinta da secoli e secoli. Poi scavò nei propri ricordi ritrovati con fanatica velocità, recuperando il frammento di memoria che le serviva in quel momento.

Alzò il capo e sollevò la mano sinistra al cielo, la destra che puntava al terreno. Tracciando un invisibile cerchio attorno a sé le scambiò, arrivando ad avere la mano sinistra che puntava al terreno e la destra al cielo. Infine le portò entrambe al petto.

«Non tornerò a mani vuote, grande drago» cantò a mezza voce.

La bestia annuì, soddisfatto dal saluto rituale, e com'era comparso, sparì.

Sharlisse sapeva che era ancora lì, davanti a lei, pronto ad accogliere il suo invito una terza volta.

Da quello che ricordava i draghi offrivano solo tre possibilità a chi li chiamava, dopo di che ti divoravano.

Ma Sharlisse non era preoccupata di una tale eventualità, perché ora sapeva cosa doveva cercare.

Aveva trovato la carrozza e aveva scoperto il biglietto che le avrebbe garantito un passaggio sicuro.

Guardò Attila con un sorriso soddisfatto che le arricciava le labbra.

«Spero che tu non soffra l'altezza.»

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