Trentasette. Cielo azzurro tra fiori rossi.

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Con lo scorrere lento del tempo, Sharlisse si lasciò andare a più cupi e umani pensieri. Aveva immediatamente chiesto a Relassis di permetterle di confortare il cucciolo nel suo ultimo viaggio, ma il re aveva emesso uno sbuffo scocciato e aveva ordinato al soldato che la teneva al guinzaglio di relegarla in un angolo della sala del trono.

Relassis poi l'aveva ignorata, conferendo con i vertici dei suoi soldati, dando loro indicazioni.

Un viavai prese luogo davanti al trono delle tenebre, e il cucciolo mannaro ferito giaceva inerme ai piedi del sovrano, ignorato o maltrattato.

La figlia del sangue ringhiava, cercando di liberarsi da quella catena per andare dal cucciolo, ma il dolore di mille aghi tornò a farsi potente, ferendola e rischiando di farle perdere nuovamente i sensi.

Passarono cinque ora di attesa senza alcuna notizia da parte del principe ereditario. Sharlisse comprese che era giunto l'ultimo momento del proprio cucciolo. Dopo averlo osservato soffrire impotente, Sharlisse arrivò a pregare Relassis di farglielo tenere per quell'ultimo respiro.

Con le lacrime agli occhi tendeva le mani verso il gattino, nella speranza che potesse comprendere che lei era lì per lui, per quanto non potesse cullarlo con il suo canto. La sua voce si era rotta nei singhiozzi di fronte all'insensibilità dell'uomo, ma tentò comunque di confortarlo, recitando le parole del cantico.

All'arrivo dell'alba, il gattino spirò, e la figlia del sangue sentì dentro di sé che era andato nell'agonia, privato di quel minimo di conforto che tutti gli esseri viventi meritano.

Sopraffatta da quel dolore, Sharlisse si spezzò.

Da quel momento in poi si estraniò dalla realtà. Se il re le parlava, lei non lo sentiva. Non vedeva, non odorava, non toccava. Se avevano usato il collare per ferirla, lei non aveva provato nulla. Si stava spegnendo, come quando aveva deciso di lasciarsi andare e trasformarsi a propria volta in gatto.

Non percepiva più il tempo scorrere: sessant'anni o sessanta secondi avevano per lei la stessa durata. Neppure la vendetta l'attraeva più.

Sentiva dentro di sé che solo un figlio del sangue avrebbe potuto riportarla indietro, ma non ne era certa: ogni cosa stava perdendo importanza, tranne il suo rimpianto più grande.

Aveva avuto sessant'anni per compiere il compito che le tenebre le avevano affidato, ma non l'aveva fatto. Si era crogiolata in quel benessere, in quella pace fittizia. Se solo fosse stata capace di convincere Lishar, Relassis avrebbe trovato dei giovani e potenti figli del sangue ad accoglierlo.

E tutto sarebbe stato diverso.

Invece lei si era comportata da figlia corrotta e aveva perso tutto ciò per cui aveva lottato. Nemmeno meritava di trasformarsi in gatto: piuttosto avrebbe dovuto morire di inedia e di dolore come i figli del sangue che erano stati scartati dietro alla posa dell'albero nero. Era degna solo di quel destino inutile.

Un'eco inaspettato si fece all'improvviso strada in lei, tagliando come una lama la sua coscienza. Era tutto buio e silenzioso e immobile, ma c'era quell'eco davanti ai suoi occhi, sulla sua pelle. Non aveva alcun senso e Sharlisse tentò di sottrarsi, di negarsi a quella sirena che tentava di trascinarla verso quel dolore da cui lei stava fuggendo.

«Da quanto tempo è così?»

«Non saprei. Quattro o cinque giorni.»

«Sharlisse, ti prego, dammi un segno che sei ancora qui.»

«È un bene che sia in quello stato, non capisci? Perché risvegliarla?»

«Perché questo stato è quello che precede la sua trasformazione in gatto.»

Sangue e SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora