Trentanove. Sharlisse.

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Il fuoco scoppiettò allegramente nel camino. Il suo crepitio era il suono predominante nella notte, ma ad un orecchio attento non poteva sfuggire il lieve rumore di fusa né i leggeri passi sul pavimento.

«Non dovreste stare qui, vostra altezza» gracchiò una voce vecchia ma ancora musicale. «Se è la mia presenza che desiderate, mandatemi a chiamare. Ma non rischiate la vostra salute per venire qui.»

Non ricevendo risposta, l'anziana donna che se ne stava comodamente seduta sull'unica poltrona davanti al camino, si voltò. I suoi occhi colore delle stelle si socchiusero per fronteggiare l'assenza di luce e la sua pupilla nera si allargò fino ad inghiottire l'iride bianco.

«C'è qualcosa che vi tormenta?» domandò con tono incerto e preoccupato.

Lei era ancora seduta ma riusciva a distinguere il giovane uomo appena fuori dalla bolla di luce prodotta dal camino. Lo conosceva così bene che avrebbe potuto descrivere ogni suo piccolo dettaglio anche se fosse stata cieca. Lo amava così tanto che vederlo esitare in sua presenza le spezzava quel poco di cuore che le era rimasto.

Con evidente fatica si alzò dalla poltrona, portandosi in una posizione più eretta possibile. Non fece però in tempo a muovere un passo verso di lui che il ragazzo finalmente parlò.

«Ho sentito delle voci» confessò con tono sottile e leggero.

Le sue labbra si arricciarono e lei rimase in attesa. Le gambe non la sorreggevano ormai da molto tempo ma non le importava di sopportare quel minimo disagio per lui.

«Riguardo a te, a noi, all'intero casato, alla nostra casa.»

Osservò attentamente la reazione della donna a quelle sue parole, ma a parte il suo ormai costante tremolio, non ottenne altro. La donna emise un sospiro mentre chiudeva gli occhi e quando li riaprì poté vedere occhi così neri che non c'era differenza tra iride e pupilla. In essi ballavano le fiamme riflesse, dandogli una luce che non avevano.

«Specialmente riguardo a Sharlisse.»

Lei annuì, un impercettibile movimento del capo.

«Secondo queste voci, alle quali difficilmente potrò credere in quanto ci danno per estinti, tu saresti pazza» continuò, spostando lo sguardo dall'anziana donna al caminetto, osservando con sguardo corrucciato le fiamme che danzavano e consumavano la legna. «Ma poiché c'è sempre della verità nelle voci, vorrei che tu me la raccontassi.»

Lei inspirò e lui lo prese come il segno di aver fatto breccia. Ed era così, lei lo sapeva, come sapeva che lui non si sarebbe fermato davanti alla sua debolezza. Non questa volta. Non era più un bambino e aveva il diritto di sapere la verità.

«Quando ero piccolo ero convinto di essere io quello sbagliato, diverso» continuò lui, infierendo con quella dolce voce, piena di rispetto e affetto, ma non per questo meno tagliente. «Ma quando sono cresciuto e la casata si è formata... allora ho capito che quella diversa eri tu.»

I suoi occhi neri la attraversarono, andando a toccare memorie che lei aveva lasciato nel suo passato.

«Perché non mangi più e ti lasci invecchiare? Perché piangi su due cumuli di pietre accanto al rivo?» domandò con curiosità viva nella voce, l'espressione di colui che l'aveva osservata a lungo cercando di carpire quel segreto.

«Ma, soprattutto... Perché puoi stare lì, su quella poltrona, davanti al fuoco? Se io mi avvicinassi di un solo millimetro in più mi brucerei, ma tu no. Tu no» la voce gli si ruppe in gola e istintivamente fece un passo indietro, al sicuro. «Dimmi, Sharlisse, perché tu no?»

Lei espirò con forza il fiato che aveva trattenuto. Si era aspettata quelle domande molto tempo prima, tanto che il loro arrivo in ritardo l'aveva spiazzata.

Non rispose subito, ma non perché stesse riflettendo su cosa dire. Piuttosto perché mentre stava cercando nella propria memoria l'inizio di quella storia si era resa conto che non lo riusciva a trovare. Era certa di essersi preparata quel discorso molto tempo addietro e il non trovarlo lì, dove lo aveva immagazzinato dopo averlo splendidamente confezionato, le dava enormemente fastidio.

Mosse dei passi traballanti verso il ragazzo, uscendo dalla bolla di luce e calore.

Lui le fu subito accanto e le offrì il braccio come sostegno. La osservò con amore, dedizione e immensa pietà. Lei lo aveva cresciuto, era stata la sua forza, e ora era così fragile che guardarla lo feriva.

«Venite, vostra altezza: questa è una verità molto lunga e chiederà più tempo di quanto voi pensiate» raccontò, conducendolo fuori dalla stanza in cui solo lei poteva entrare.

Lasciò che fosse lui a dirigerli, scegliendo il luogo perfetto per ascoltare la favola che gli avrebbe raccontato. Ma non attese di essere arrivati per cominciare a parlare. «Vedete, io non ero pazza. Gli umani lo credevano, ma non lo ero» cominciò con voce gracchiante, recuperando quelle parole dal fondo della propria memoria.

«Non fraintendete: non è che io non lo fossi prima di un certo giorno, o che ne sia guarita dopo un certo periodo. No, quando dico che non ero pazza, intendo che non lo sono proprio mai stata.»

I loro passi echeggiarono nei corridoi bui.

«Ma era facile sbagliarsi: non potevano concepire che io, come un gatto, vedessi ciò che gli uomini non osavano neppure guardare. Mi credevano uguale a loro, ma io ero qualcosa di altro» continuò, stringendo appena con più forza la mano sul suo braccio. «La storia di Sharlisse, la mia storia, vostra altezza, inizia proprio il giorno in cui avevo accettato il mio destino di figlia del sangue in esilio: trasformarmi in un gatto.»



FINE

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