1. La preda

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La metropolitana era quasi totalmente deserta. Dalle scale poco illuminate proveniva uno spiffero d'aria umida e fredda, che faceva scricchiolare una cartaccia plastificata incastrata sotto una panchina. Da qualche parte nel soffitto c'era una perdita d'acqua. Sulla banchina opposta, un ragazzo nero ascoltava musica altissima nelle cuffiette.

Ivan aveva annotato mentalmente ognuno di quei particolari, mentre sedeva a lato di Oleg, con la testa bassa e il cappuccio grigio tirato sopra la testa. A differenza del suo amico, che era totalmente concentrato in una stupida partita di poker online, lui cercava di non dimenticare mai quanto un particolare potesse fare la differenza, soprattutto quella sera. Avevano speso le ultime monete in un paio di panini e una Pepsi da dividere. Ivan aveva fame, quel misero bocadillo ripieno di tortilla rinsecchita gli aveva solo aperto lo stomaco. Non mangiava bene da giorni, perché era impossibile avvicinarsi al Centro della Compassione del quartiere. L'ultima alluvione aveva lasciato il doppio o forse il triplo di bocche affamate. Famiglie intere si affollavano agli ingressi dei Centri che distribuivano beni di prima necessità e nessun diciannovenne ossuto sarebbe mai stato in grado di valicare quella folla rabbiosa e disperata.

Era stato necessario tornare ai vecchi metodi.

"Guarda" bisbigliò Oleg, senza quasi muovere le labbra. Ivan lanciò uno sguardo di sottecchi verso le scale e la vide. Minuta, un caschetto di lucidi capelli neri con frangia e un cerchietto di perline. Era vestita con una tutina a righe bianche e blu e a tracolla portava una borsetta di cuoio. Doveva avere all'incirca la loro età e l'aspetto da ingenua.

Era perfetta.

Sulla loro banchina c'era solo loro tre. Ivan diede di gomito a Oleg, il loro segnale prestabilito quando designavano una vittima. L'altro tornò alla sua partita di poker e Ivan lanciò un'occhiata al tabellone degli arrivi. Intanto, la ragazza si era avvicinata. Dava loro le spalle, la testa piegata sul cellulare. Ivan notò che aveva la pelle d'oca. Doveva sicuramente essere una turista: nessun valenciano sano di mente sarebbe uscito senza coprirsi con una tormenta in arrivo, soprattutto alla fine della primavera. I turisti del Nord Europa tipicamente non riconoscevano la natura maligna del cielo giallastro, che annunciava l'arrivo della granisca. Ogni anno ne moriva qualcuno a causa sua. Una stupida bocca in meno da sfamare per il pianeta.

Una voce metallica gracchiò da un interfono, avvisando dell'arrivo del primo treno. Il ragazzo nero si alzò stiracchiandosi. Oleg gli diede una seconda gomitata: era il momento di agire. Anche i due giovani si tirarono in piedi, facendo finta di sgranchirsi le gambe. Avrebbero avuto solo una manciata di secondi, nel momento di distrazione, per derubarla. Mossero qualche passo senza fretta verso di lei, ancora impegnata con il suo cellulare, mentre un forte fischio avvisava dell'arrivo del treno. Nel battito di ciglia che ci volle alla locomotiva per entrare nel loro campo visivo e nasconderli all'altra banchina, Oleg e Ivan affiancarono la ragazzina, in una danza coordinata che avevano fatto mille volte. Il primo allungò immediatamente la mano verso la tracolla della borsa, mentre il secondo afferrava per un braccio la loro vittima. Lei voltò di scatto la testa e Ivan incrociò i suoi occhi, che erano grandi, e completamente neri. Le diede uno strattone per avvicinarla a sé, mentre il suo compagno cercava di sfilarle la borsa. Lei si riprese in un secondo dallo stato di sorpresa in cui era caduta e fece per aprire la bocca, probabilmente per urlare. Ivan lo aveva visto fare molte volte. Mentre la tratteneva, le spinse la mano libera sulle labbra e le afferrò le guance, stringendole con le unghie.

Fu in quel momento che qualcosa accadde.

Mentre le porte del treno segnalavano la loro chiusura, gli occhi della ragazzina si illuminarono di furore. Si fissarono nei suoi e Ivan ci vide l'odio più puro, odio che aveva visto solo negli occhi dei ratti quando attaccavano. Prima che Oleg riuscisse nel suo intento, la ragazzina fece un movimento violento e veloce, strappandogli dalle mani la borsa. Scaraventò il telefono in faccia al ragazzo e lo colpì sotto l'occhio sinistro. Oleg urlò. Ivan fu preso di sorpresa, ma non lasciò la presa sul suo braccio.

"Stai ferma!" le urlò, ma lei liberò la sua bocca dalle sue dita e arricciò le labbra. I suoi denti erano bianchi e piccoli. Non solo: erano aguzzi, come quelli di una faina. Dalla sua gola proruppe un basso ringhio animale.

"Ma che cazzo è?!" esclamò Oleg in ucraino, allontanandosi di un passo, cercando di tamponare il taglio formatosi sul suo zigomo. Il treno della banchina opposta iniziò a muoversi e la voce metallica si udì di nuovo. Ivan affondò le unghie nel braccio della ragazza e si slanciò ad afferrare la borsa lasciata dall'amico. Mentre si abbassava, lei voltò il viso.

Un dolore lancinante trafisse il braccio di Ivan. Gridò forte e abbandonò il suo intento, ma questa volta era la sua vittima ad averlo intrappolato. Le sue piccole mani lo afferrarono per i capelli con una forza sovraumana, mentre i suoi denti erano conficcati nella carne del ragazzo.

"Oleg! Oleg!"

"Lasciala! È pazza!"

Ivan ci provò, ma lei gli spinse le unghie nella nuca. I suoi denti affondavano nella carne, si muovevano, tagliando pelle, muscolo e vene. Sembrava che lo stesse masticando.

"Aiutami!"

Oleg si avvicinò in preda al terrore. La afferrò per i capelli e la ragazzina gettò un grido acutissimo. Il dolore accecava Ivan, che la spinse via. Macchie nere ballavano davanti ai suoi occhi. Tutta la metropolitana girava e l'odore del sangue e dell'umidità erano forti, troppo forti.

"Cristo!" urlò Oleg. Il piccolo mostro, con la bocca sporca di sangue, si era voltato verso di lui. Ivan udì il fischio di un treno. Non seppe mai se fosse reale o meno. Di quel momento, nel futuro, avrebbe solo ricordato ciò che aveva fatto per istinto. Aveva afferrato il fianco sinistro della ragazza e, nell'esatto istante in cui la locomotiva entrava con velocità in stazione, l'aveva lanciata sui binari. Lei aveva emesso solo un altro di quelle grida inumane. Poi, il vagone le era passato sopra.

La sua borsa era rimasta sulla banchina.

Oleg l'aveva afferrata con la sinistra. Con la destra, aveva preso per mano Ivan. Ciò che era successo dopo, per lui sarebbe sempre stato un ricordo immerso nella nebbia. 

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