Un piccolo lupo

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Già, cosa mai poteva succedere nella remota Springs Creek? Praterie dall'erba bassa che si estendono a perdifiato fino all'orizzonte, dove sembrano solleticare i piedi alle nuvole. Strade lunghe che strisciano nel mezzo, trascinandosi dietro chilometri di asfalto e pali elettrici. Cavalli, tanti cavalli, tra una tenuta e l'altra.

Cosa poteva accadere laggiù che meritasse di essere raccontato? Che accendesse l'arguzia di una giornalista come lei?

Abigail, che poco prima stava ammirando dal finestrino una mandria di splendidi esemplari di Quarter Horses dai manti cremello, bianchissimi, aveva inchiodato di colpo nel mezzo della carreggiata. Non le era parso possibile, poi non aveva potuto far altro che riconoscere che quello intravisto fosse il corpo di una persona rannicchiata a bordo strada. Dalla stazza probabilmente un uomo, sebbene le lunghe trecce nere l'avessero indotta, sulle prime, a immaginare si trattasse di una ragazza.

Scese di corsa dall'auto, senza pensarci due volte, e in un attimo, si ritrovò accoccolata accanto a quello sconosciuto malridotto, intenta a capire se fosse ancora vivo. Ora, il viso di quel giovane le era a poca distanza e poteva fortunatamente percepirne il respiro, pur affaticato, gonfiargli il petto e uscire dal naso, al quale stava appeso un piccolo piercing ad anello, fino a lambire i suoi palmi.

"Mi senti?", gli accarezzò una guancia.

Il ragazzo si lamentò, gli occhi socchiusi e la bocca deformata per il dolore. Il suo labbro inferiore sanguinava abbondantemente e Abby dovette spostarsi per lasciare che sputasse fuori un grumo di saliva rossa. Gli porse il suo fazzoletto, poi lo lasciò anche tossire, aiutandolo a mettersi seduto.

"Dimmi, dove ti fa male?" gli domandò, confusa.

"Dappertutto", si schermì l'altro, ancora frastornato per le botte. Uno degli occhi era gonfio, non riusciva a tenerlo aperto.

"Ti hanno investito?".

Le rispose con un movimento lento del capo. Era un no.

"Aggredito, allora...". Abigail controllò che non avesse ferite gravi lungo braccia e gambe. "Sei solo ammaccato", sentenziò alla fine. "E la testa?". Lo avvicinò per sincerarsi che non ci fossero lacerazioni importanti sul cranio. "Hai sbattuto a terra, forse?", insistette.

Il ragazzo, però, non aveva intenzione di farsi visitare oltre. "Me la caverò" fu il suo rifiuto e fece per tirarsi in piedi, ma le forze gli vennero meno. "Cazzo...", mugugnò infastidito.

"Aspetta! Non sappiamo se hai lesioni interne, meglio fare dei controlli. Chiamo un'ambulanza, va bene?".

Fu un secondo. Una reazione fulminea, la sua. Lo sconosciuto strappò il cellulare dalla mano di Abby e le rivolse la schiena, in atteggiamento difensivo: "Non farlo, ti prego. O mi pesterà di nuovo".

Abigail sospirò. Le parve chiaro che quel poveretto s'era abituato a venire picchiato. Era maggiorenne, ma non più grande, e il pensiero di saperlo vittima di qualche tizio molesto le toccò il cuore.

"Sei un indiano...". La risposta restò appesa alle sue labbra. Non aveva dimestichezza con le tribù dell'Oklahoma - erano trenta, se non di più -; anzi, con poche tribù a dire il vero.

"Sono un cheyenne", rispose l'altro con la lingua impastata e la voce rotta.

"E come ti chiami?".

Il ragazzo rizzò la schiena contusa e tornò a guardarla. C'era qualcosa in lei che la rendeva familiare. John le sorrise come poté, con i denti incrostati di sangue: "Piccolo Lupo, ma per tutti sono John".

"Bene, come posso aiutarti Piccolo Lupo?".

Si fissarono per un lungo istante, o così sembrò loro. John fu toccato dalla scelta di quella donna, che aveva rispettato la sua discendenza chiamandolo con un nome cheyenne.

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