Capitolo 5

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Quando restavano soli, l'aria cambiava

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Quando restavano soli, l'aria cambiava. Almeno per lui.

Aveva l'impressione che la tensione si propagasse da Sakurai Shō invadendo gli ambienti, restringendoli, e rendendo l'aria più consistente, instabile. Elettrica. Era sempre stato così, anche prima che il ragazzo iniziasse a odiarlo. Era sempre stato lo stesso anche con sua madre.

Quel giorno, avvertì il cambiamento appena salirono su una delle piattaforme che scendevano nelle viscere del Jīngshén, nel primo livello. Solo che in quel caso lui non era Sakurai Seiji. Lui era l'agente di custodia Uno-Zero-Quattro, che per la prima volta si trovò a vivere in prima persona un elemento dei ricordi ereditati dal suo essere umano.

Mentre assorbiva quella consapevolezza ed era distratto, ricevette un ordine proprio dal giovane che stava accompagnando.

«Il mio dialogo con il prigioniero sarà privato. Lei ricordi di non intromettersi.»

Uno-Zero-Quattro replicò, con un cenno di deferenza: «Le chiedo perdono, Sakurai-san, ma anche se in silenzio dovrò restare nella cella. Per assicurare la sua incolumità e il rispetto del protocollo di sicurezza relativo al prigioniero. È il mio compito, spero che lo comprenda.»

«Capisco.»

Uno-Zero-Quattro scoprì rapidamente che scusarsi con Sakurai Shō gli procurava una strana sensazione di ebbrezza. Si domandò se dipendesse dalla voglia di espiare le colpe accumulate dal prigioniero nei riguardi del nipote, o se al contrario lo eccitasse il potere di turbare quel ragazzo con così poco.

«Le chiedo ancora perdono per il fastidio.»

Il giovane Sakurai-san non gli rispose. Si era girato fingendo di controllare il suo telefono privo di ricezione, in modo di dargli il più possibile la schiena. Teneva una mano in tasca per fingersi sicuro, ma era palese quanto fosse spaventato e scosso dalla semplice esistenza di una copia del suo parente. Sotto a quella giacca scura c'erano spalle contratte, sollevate e abbassate da un respiro corto.

L'agente immaginò vividamente di sbattere quella testa e quella nuca elegante sopra al quadro dei comandi, imprigionandoli contro la parete d'acciaio dell'ascensore, saggiandone la consistenza sinuosa nel palmo della mano.

Quella fantasia a occhi aperti fu il secondo istinto ereditato che, all'improvviso, si ritrovò a vivere in prima persona. Lo emozionò. In un certo senso, gli fece capire che anche una parte vergine del suo ego stava facendo visita a Sakurai Seiji per la prima volta, nel suo inconscio. E che si sarebbe trattato di un incontro molto pericoloso.

Toccarono il fondo della discesa e Uno-Zero-Quattro invitò il ragazzo a seguirlo. Lo guidò lungo il corridoio, controllando che le videocamere fossero spente come aveva chiesto, e durante il tragitto si impadronì di una sedia, abbandonata in mezzo a delle altre all'imbocco delle docce di servizio.

Raggiunsero la cella numero quattro. L'agente aprì la cancellata esterna di sicurezza, poi la porta vera e propria.

Seiji-san era seduto sul letto. Stava sfogliando una copia cartacea del Nikkei Shimbun della prima metà del Duemila.

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