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Giacché il suo amato studio si dedicasse alle parole, care e adorate parole, in quei momenti delicati sembrava gli cascassero dalle labbra, lasciando campo libero alla pioggia che si batteva sul proprio viso. I vani tentativi di dar voce ai propri tormenti erano meri balbettii e singhiozzi rotti. Ma pensava, pensava tanto al peso che gli gravava sul cuore tanto da ridurlo in lacrime nell'angolo più buio della propria dimora.

Ciò che più lo addolorava era se stesso:era patetico piangere per come si è? Tormentarsi per la forma che ci è stata donata dalla nascita? La quale, così nobilmente, rispecchia quella dei nostri creatori. Sputarci così sopra era forse un insulto anche nei loro confronti?

Seguì i tipici consigli per migliorare il proprio corpo e sebbene ebbero dei risultati, non li trovò del tutto soddisfacenti. C'erano difetti che non si potevano cambiare e che si sarebbe portato anche nella tomba, come se gli avessero tirato un maleficio eterno. Ricercando stupidamente lo stesso maleficio, ad un certo punto della sua vita avvertì un infamiliare odio nei confronti dei propri creatori, genitori, scagliandosi anche contro il loro aspetto:"se fossero stati più belli, anch'io potevo esserlo!"; quei pensieri gli fecero capire quanto la bruttezza esteriore, stesse diventando anche interiore;

Era tormentato non solo dai propri occhi che si limitavano a fare il proprio lavoro, ma anche da quelli altrui puntati su di lui:odiava essere guardato dagli altri, non osando immaginare come apparisse a loro; pian piano cominciò ad essere scrupoloso su qualsiasi movimento che non scoprisse troppo di sé o nascondesse quel che poteva; spesso si teneva a distanza, odiando perfino essere troppo vicino ad una persona. Neanche i propri occhi gli risparmiavano la pena di osservare l'aspetto altrui, ricordando quotidianamente al padrone quanto misero e ripugnante fosse il suo rispetto a quello di familiari, amici, conoscenti e sconosciuti.

Banalmente, si convinse che i suoi amici non avrebbero mai compreso le sue sofferenze:i loro aspetti erano belli, le loro vite amorose piene e i complimenti da sconosciuti erano abbondanti; la spregevole invidia per quelle mancanze nella sua vita era l'unica cosa che aveva a disposizione, portandolo ad avere pensieri più orribilanti del tanto odiato aspetto fisico.

Gli amici più cari lo elogiavano con banali lusinghe che non lo spingevano a sentirsi bene, ma a fargli sanguinare le orecchie:"come sei bello","stai proprio bene stasera", "ma sei un frescone, secondo me dovresti solo avere più confidenza!". Non aveva uno straccio di prova riguardo le loro sentenze:non era mai stato fidanzato né qualcuno ci aveva mai provato con lui. Neanche imitare gli altri in cose banali come gli outfit o l'acconciatura pareva efficace.

Così dava la colpa ai propri creatori, alla propria ingordia e inappetenza, alla propria accidia, alla propria inesperenzia e perfino alla propria carenza economica; ovviamente al proprio aspetto fisico e al proprio stato mentale che non gli permetteva di vivere spensierato;

Il sentimento di impotenza nei confronti del proprio corpo, che aveva già alterato fin quanto poteva, lo devastava a tal punto da desiderare di strappare l'ingombrante accumulo di carne e pelle che gli rendeva la vita impossibile; strapparlo nel modo più violento possibile, anche a costo di dimenarsi dall'atroce dolore e sporcarsi le mani, perché non meritava un trattamento più cauto; infine, passare a sostituirlo con un aspetto più gradevole, anche il più banale del mondo bastava che fosse comune. Ma quel desiderio rimaneva un desiderio, mentre l'odio era sempre più intriso nel proprio animo e nella propria vita.

Quella sera era solo una delle tante in cui pianse per la condizione, soprattutto mentale, in cui viveva.

Per il compimento del diciannovesimo anno di età, Armin festeggiò con i propri amici più stretti in un locale del proprio paesino. L'ebbrezza di una serata piacevole lo spinse a spendere più di quanto promise al nonno, offrendo giri di bicchieri anche a perfetti sconosciuti. L'amico più responsabile che aveva, Jean, riconobbe che gli occhi lucidi e le guance rosse non fossero segni di una qualche sorta di commozione per l'età che raggiunse e gli mise bruscamente un freno all'improvvisa vena generosa. Coprì le spese che rimanevano per evitare che andasse in banca rotta e lo accompagnò a casa.

l'inesistenza del mio amore//ereminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora