6. Ghiaccioli

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ASTRID

«Che giornata di merda.» Inspirai, sperando di improvvisare una specie di meditazione.

«Che giornata di merda.»

Niente, neppure quella volta la meditazione aveva funzionato.

Mi strinsi nella mia felpa, cercando su Google «Come capire di aver fratturato una caviglia». Nessun link fu particolarmente utile, così provai alla buona vecchia maniera e cercai di mettermi in piedi. Appena il mio piede toccò terra, dal dolore ricaddi sulla panchina.

Non era mio solito alzarmi alle sei del mattino per andare a fare jogging. Quella mattina quell'idea malsana sembrò costarmi fin troppo.

Presi nuovamente il cellulare per guardare tra i miei contatti, nella speranza che qualcuno dei miei amici fosse sveglio e disposto ad aiutarmi.

Avrei potuto chiamare un ambulanza? Si. Lo feci? Assolutamente no.

Il motivo? Non avevo un'assicurazione sanitaria che potesse farmi evitare di indebitarmi fino al collo. Non avrei varcato la soglia di un ospedale fin quando non avrei avuto la certezza di dovermi ingessare il piede.

L'ansia mi fece avvampare in volto, procurandomi una strana sensazione di calore sulle guance. Ero da sola, su una panchina, forse con delle ossa rotte, e non avevo la più pallida idea di cosa fare. Gettai il viso tra le mani chiuse a coppa.

«Dio che caldo.»

«Lo pensi ogni volta che mi vedi?» Una voce maschile spezzò il mio monologo a voce alta.

Trasalii, sbarrando gli occhi quando vidi Asher Ayers torreggiare sulla mia figura.

Pantalone nero, camicia nera sgualcita, capelli scompigliati e borse sotto gli occhi che rivelavano la sua notte insonne. Pensai che molto probabilmente era appena tornato da una serata.

«Le discoteche chiudono alle sei del mattino?» Chiesi sornione, cercando di tenere un atteggiamento impassibile.

«No, non ero in discoteca.» Con uno sguardo mi intimò a spostare la caviglia stesa, così che potesse prendere posto al mio fianco.

«Quella rimane lì dov'è.» Negai categoricamente.

«Che c'è? Non gradisci la mia presenza stamattina?» Mi afferrò la gamba appena sotto il ginocchio, spostandola lentamente.

«Non la gradisco mai.» Ingoiai a vuoto, scrutando con incertezza i suoi movimenti.

Si sedette al mio fianco, posando la mia caviglia sulle sue gambe. Appena la toccò, ansimai dal dolore e poi nascosi il viso tra la panchina e la felpa.

«Anche la ragazza di stamattina mi ha salutato così.» Si abbandonò quasi ad una risata, ma il mio sguardo carico d'ira lo ammutolii.

«Dio, quanto ti odio.» Strinsi i denti, sentendo di poter impazzire. Avrei voluto lanciargli qualcosa contro. Se solo avessi avuto le facoltà per farlo, l'avrei preso a calci.

«Cosa ci fai qui? Perché non te ne vai?» Strinsi il metallo freddo tra le mie dita, così forte che pensai che avrei potuto farmi male.

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