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«Possiamo- possiamo parlarne dentro?» Chiese il demone, facendo cenno alla porta della libreria.
[...] Per quella volta, in seimila anni, decise di prendere un rischio più grande di lui.

——

L'angelo annuì. Il suo sguardo, nonostante tutto, non ce la faceva ad incontrare quello del demone. Non se la sentiva. Si sentiva in colpa, si sentiva un traditore per lui e per il paradiso; sentiva di aver tradito anche sé stesso.
Crowley, dal canto suo, non sapeva nemmeno cosa dirgli. Stavano facendo qualcosa, ma non sapevano neanche loro cosa.

Cosa dovevano dirsi? Come avrebbe dovuto giustificare Aziraphale quella distanza? "Oh, scusa, ti ho allontanato altrimenti il paradiso di avrebbe disintegrato. Però mi mancavi, quindi eccoti di nuovo in pericolo di vita!"?
Non aveva senso. Nessuna spiegazione aveva senso. Sarebbero dovuti essere sinceri. Aziraphale doveva esserlo.
Il demone, dopotutto, nulla gli aveva nascosto. Nulla, a parte il fatto di esser crollato sulle proprie ginocchia e aver pregato, aver pregato disperatamente.

Ma l'angelo aveva il terrore della verità. Avrebbe preferito litigare in quel momento con Crowley e, sinceramente, sentiva dentro di sé che quella volta sarebbe successo davvero.

Aprì la porta e si fece da parte, invitando il demone ad entrare prima di sé. Ormai la pioggia iniziava a diventare sempre più forte e rumorosa, minacciava di piovere per ore, e restare lì iniziava ad essere una scelta stupida.
Tutto, in quel momento, voleva tenerli insieme: a partire da loro, fino ad arrivare, addirittura, al meteo stesso; l'angelo iniziava a chiedersi se questa pioggia non fosse colpa sua, non fosse perché aveva nuovamente deluso Dio. Era troppo forte.
Era iniziato a piovere da pochi minuti, eppure sembrava aumentare con una velocità disumana, come se piovesse da decine di minuti, forse ore, ininterrottamente.

Crowley varcò la soglia e, senza preavviso, prese il polso del compagno, tirandolo dentro con sé e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Quel rumore iniziava a darmi fastidio.»
Mentì il rosso. Mentì in modo estremamente palese.

Eppure l'angelo non glielo fece pesare - o notare -, credeva solo che in realtà il demone fosse infastidito dall'acqua. Mai avrebbe metabolizzato - non senza una mano - che Crowley iniziasse a sentirsi a disagio lì fuori.
Si sentiva osservato, anche se non c'era nessuno; si sentiva fin troppo vulnerabile in un luogo che non gli apparteneva. Nonostante i mesi passati, non c'era luogo che reputasse più "casa" di quella libreria.
Quasi sentì gli occhi lucidi nel rientrare in quel luogo; nel risentire quell'odore così familiare che - seppur fosse influenzato dall'aria chiusa tenuta per mesi - non era cambiato.

Il demone si sentì a casa non appena ebbe varcato la soglia e tirato l'amico con sé.

Si girò solo allora verso Aziraphale, il quale aveva ormai distrutto quella busta di carta tra le proprie dita, dal nervosismo. Gentilmente - fin troppo, per gli standard del demone -, il rosso si sporse in avanti e gli tolse il vinile dalle mani, allontanandosi per pochi secondi, solo per riporlo sulla scrivania lì vicino.

«Non voglio mica spedirti all'inferno, angioletto.» Commentò Crowley ironicamente, tentando - in modo fallimentare - di alleggerire la situazione.
Non gli piaceva vedere l'angelo così nervoso, soprattutto non così tanto da rischiare di rovinare un vinile per lo stress.

Si guardarono. Si guardarono per minuti interi.

«Crowley-» Borbottò Aziraphale, continuando solo quando ottenne l'attenzione dell'altro, il quale aveva ora alzato gli occhi gialli sulla figura davanti a sé. «prima che- insomma, prima che io ti allontanassi… stavi per dirmi qualcosa, giusto?»

Il demone sbiancò d'un tratto. Non aveva sicuramente nulla da dirgli in quel momento - o meglio, non sapeva come esprimersi - ma mai si sarebbe aspettato che Aziraphale avrebbe ripreso il discorso così, di punto in bianco.

«Non avevo nulla da dire.»
Fu un tentativo vano, lo sguardo di Aziraphale non ammetteva menzogne. Era un misto tra una preghiera e qualcuno che stava per piangere, che aveva bisogno di una certezza. Non sapeva perché, ma era convinto che Crowley stesse per dirgli qualcosa, e che fosse qualcosa di positivo.
Si era maledetto ogni giorno in quei mesi per aver lasciato che il suo umore facesse saltare quel discorso, qualsiasi esso fosse.

Crowley sospirò.
«Non è un discorso che vorrei riprendere ora.»
Scese un silenzio disumano.
Da un lato, alla destra della porta, c'era l'angelo, in silenzio, mentre attendeva che Crowley continuasse il suo discorso.
Dall'altro, a sinistra, vi era il demone, che cercava disperatamente le parole per poter parlare e, in qualche modo, cambiare argomento.

La pioggia sembrò scendere ancora più velocemente. Iniziò a dare l'idea di uno di quei temporali insopportabili che a malapena ti davano la possibilità di ascoltare chi avevi ad un metro da te.
Eppure la libreria sembrava immersa nel silenzio più totale. Era quasi agghiacciante.

Il demone non osò togliersi gli occhiali, si guardavano attraverso quelle lenti scure, non cercando neanche di vedere oltre queste.
Ci volle qualche minuto prima che il rosso riprendesse la parola.
«Ne - sospirò - ne riparleremo in un'altra situazione. Sempre se ce ne sarà una, immagino.»
Ora Crowley evitava visibilmente gli occhi dell'altro, iniziando a guardarsi intorno; guardò le librerie, poi il soffitto, poi la porta e la pioggia che batteva su di essa incessantemente.

Serrò le labbra, nel tentativo di restare neutrale, ma si ferì da solo con le proprie parole. La situazione non migliorò affatto gli attimi successivi. La consapevolezza di cosa stava per dire lo faceva star peggio, perché sapeva cosa avrebbe ricevuto in risposta.
Sapeva come sarebbe andata a finire, nuovamente - o, almeno, così credeva.

Aprì la bocca ma non disse nulla. Fece un verso insensato, come se le parole gli fossero rimaste bloccate in gola.

«Crowley?»

Niente.

«Crowley? Stai bene...?»

La voce dell'angelo iniziò ad apparire più preoccupata di quanto già non fosse.

«Cro-»

«Non dovrei essere qui, vero?»
L'angelo si sentì congelare, lì sul posto. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma non ce ne fu nemmeno bisogno.

«In Paradiso non vogliono che collaboriamo, l'hanno reso più che palese. All'inferno nemmeno, li ho rinnegati per questo motivo.
Ma tu non l'hai mai fatto, no?» Iniziò Crowley. Sembrava arrabbiato, forse deluso. Successivamente guardò Aziraphale e spalancò leggermente gli occhi, studiando la sua espressione.

«Aziraphale...»
Passò qualche secondo, il tempo che Crowley facesse qualche passo verso l'angelo e alzasse la mano per toccargli il volto, senza però farlo.
«Cos'hai fatto?»

Il biondo non parlò per un bel po'. Il tono di Crowley, seppur volesse sembrare dolce, era ancora duro, ferito. Non poteva biasimarlo, non poteva affatto.
Però il demone ci stava provando a capirlo, ci stava provando con tutto sé stesso.

«Ho rifiutato il Paradiso.» Si limitò a dire solo questo. Non voleva dirgli cosa effettivamente si fossero detti lui e il Re degli angeli; Crowley avrebbe distrutto il paradiso da solo, se gliel'avesse detto.

Tuttavia, dentro di sé, Aziraphale era consapevole del fatto che l'altro - forse inconsciamente - sapesse il perché di tutti quegli eventi, l'argomento di quella conversazione, il motivo che aveva spinto l'angelo a tenersi distante, ad avere continue crisi di pianto e un terrore inspiegabile.

«Io temo di aver fatto una cazzata, Crowley.»

Ho bisogno di te (Aziracrow)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora