𝐗𝐈

139 13 11
                                    

«Ho rifiutato il Paradiso.» Si limitò a dire solo questo. Non voleva dirgli cosa effettivamente si fossero detti lui e il Re degli angeli; Crowley avrebbe distrutto il paradiso da solo, se gliel'avesse detto.
[...]
«Io temo di aver fatto una cazzata, Crowley.»

——

«Cos'hai fatto, scusa...» Crowley parve disorientato da quell'informazione, a tal punto che gli sembrò di aver sentito male.

«Ho rifiutato il Paradiso.» Ripeté.
Questa volta scandì bene la parola "rifiutato", per quanto fosse possibile - Aziraphale non tenne un tono di voce abbastanza alto neanche per essere udito dall'altra parte della stanza.

Ci fu un tuono, seguito immediatamente da un fulmine a pochi metri di distanza dalla libreria, e la luce saltò per qualche secondo, facendo solo peggiorare l'aria lì dentro. Allora Crowley davvero si decise a posare la mano sul volto dell'angelo che, quasi istintivamente, fece un passo indietro.
Non c'era una singola emozione positiva lì. Aziraphale era un misto tra tristezza, stanchezza e paura; non aveva paura dell'altro, non avrebbe mai avuto paura di lui, quanto del paradiso. Ironicamente, in quel momento lui, un angelo, aveva bisogno del conforto di un demone, per poter reggere la paura degli altri angeli.

Più tempo passava, più le emozioni negative aumentavano, più Crowley non aveva la più pallida idea di come sentirsi: era confuso, era deluso, era stanco anche lui, e sentiva, di nuovo, quel desiderio di lasciarsi cadere sulle proprie ginocchia e scoppiare in lacrime. Ma doveva apparire spavaldo, no? Quella era l'immagine che Aziraphale aveva di lui, non poteva mostrarsi così debole, soprattutto non poteva allora.
Quindi si rimise dritto, schiarì la gola e cercò di parlare, ricevendo solo monosillabi sconnessi, intervallati da sospiri e momenti in cui apriva la bocca senza riuscire effettivamente a parlare - il tutto durò sì e no due secondi, non di più.
Guardò altrove, respirò, mise le mani in tasca e borbottò qualcosa che poteva sembrare un "perché?"

«Crowley... Non aveva senso tornare. Non aveva senso nulla di ciò che mi stava chiedendo di fare. Volevo solo-» Aziraphale si zittì all'istante.
Non poteva continuare quella frase. Non poteva dirgli che in quel momento aveva capito che i suoi sentimenti fossero reali, che se Beelzebub e Gabriel potevano amarsi, allora lui non si stava solo illudendo.
Ma non poteva dirlo in quel momento, voleva dirlo allora, voleva esser sincero; magari si sarebbe beccato un rifiuto in faccia, ma si sarebbe tolto un macigno dal petto, magari non avrebbe ricevuto nessuna risposta. Le opzioni erano tante, e lui non ne poté sperimentare neanche una, così come il demone, che voleva fare lo stesso, con le stesse paure e le stesse consapevolezze.

La differenza tra le due confessioni, che dovevano avvenire insieme, e che avevano quasi ripreso entrambi in quel momento, era una: Crowley non lo aveva mai fatto perché non voleva accettarlo; Aziraphale, al contrario, lo aveva accettato, ma non ci aveva mai creduto.

Aziraphale fu il primo, Crowley fu colpito più forte.
L'angelo aveva impresso in mente il loro primo incontro, in Paradiso, quando si innamorò dell'altro la prima volta; così come aveva in mente quell'incontro nel 1941 quando, per la prima volta, si rese conto di essersi innamorato di nuovo, di un demone. E lui lo accettava, non voleva mettere in dubbio quello che provava, nonostante fosse costretto dalle situazioni. Però quella mattina gli sembrava così adatta, avevano acquisito una pace tutta loro; l'angelo aveva finalmente la certezza che le sue non fossero solo strane idee, che angeli e demoni potessero davvero innamorarsi e che lui non fosse solo un povero illuso.

Qualcosa andò storto.

Crowley anche ricordava il loro primo incontro. Il demone ricordava ogni volta che si fossero visti, ma non quando si innamorò lui. Questo perché non voleva accettarlo, perché fu un processo graduale, perché gli sembrava stupido.
Quindi lo negava costantemente. Ogni volta che qualcuno alludeva al loro sembrare una coppia faceva un verso ironico, liquidando la cosa; però quella volta si era convinto.
Non erano bastati i momenti insieme, non erano bastati gli sguardi, non erano bastati Gabriel e Beelzebub; Crowley aveva bisogno che qualcuno gli si sedesse davanti e lo aiutasse a capire e accettare la situazione. A capire che non ci fosse nulla di strano o sbagliato nei suoi sentimenti, che forse dichiararsi, essere sinceri con sé stesso e con l'angelo, non era davvero la fine del mondo.

Qualcosa andò storto anche per lui.

E ora si trovavano lì, con un discorso mai fatto, circondati dalla paura che ogni parola che si dicevano, poteva essere l'ultima. Eppure il demone non osò chiedergli "volevi cosa?" o qualcosa del genere, aspettò solo che l'altro continuasse a parlare, dopo aver trovato le parole giuste.

«Io temo di non avere soluzioni, Crowley.
Non ho una soluzione a questa situazione, io- io non so più come agire. Avrei forse preferito accettare, ma non aveva senso!» Sbottò poi l'angelo in preda al panico, mentre cercava di tenere le distanze dal demone che tanto aveva a cuore.

Il demone restò zitto per un paio di secondi, sentendosi in qualche modo tradito dalle parole dell'amico, prima di parlare di nuovo, ferito.

«E allora accettalo! Vattene in paradiso se ti rende così felice.» Ciò fu sputato quasi con veleno dal demone che, ovviamente, non voleva essere così aggressivo.
Non intendeva quelle parole, non ne intendeva mezza. Non avrebbe lasciato che Aziraphale andasse in paradiso senza opporsi, nemmeno se fosse stato quello il vero desiderio dell'angelo.

«Perché devi rendere tutto così difficile?»
L'angelo ora parve stanco. Di urlare, di discutere, di sentirsi chiuso in una gabbia celeste solo perché, povero idiota, non era nato umano.

«Perché-» Al demone si spezzò la voce.
Sospirò, cercando di calmarsi e di cambiare discorso; aveva bisogno di farlo o avrebbe detto cose che non pensava davvero.
Strinse gli occhi e, immediatamente, anche le labbra, girando lo sguardo altrove per qualche attimo, prima di posarlo di nuovo su Aziraphale.

«Oh, Dio- Anche se non ne hai una. Pensi che almeno esista? Pensi che esista una soluzione a questo?»
Crowley lo chiese più per avere una falsa speranza, che per sapere effettivamente la verità, e lo si intuiva dal suo tono, dai piccoli movimenti del suo corpo, dal modo in cui batteva ritmicamente il piede a terra e picchiettava con il medio della mano contro la propria coscia, incessantemente.

«Ci sare-»

«Una soluzione che non preveda il doverti dire addio, Aziraphale.» L'angelo si zittì.

«Come immaginavo.» Borbottò Crowley, facendo per aprire la porta della libreria ed andarsene nuovamente, venendo però fermato dalla mano dell'amico, che gli prese la manica.

«Una soluzione c'è sempre, Crowley- è che… non so quale sia. Non so se ce n'è una in cui non debba andar via. Ci spero...»

«Dammi un motivo per restare. Dammi una certezza che mi dica che valga la pena davvero restare. Dimmi una sola cosa per cui dire "Sì, angelo, voglio sopportare qualsiasi cosa" e avere la certezza che mi farà smettere di doverti star lontano.»

Aziraphale ci pensò per un po', e ogni secondo che passava non faceva altro che far perdere le speranze del demone che, ormai, aveva abbassato la testa.

«Ci proverò, Crowley. Farò il possibile. Non posso darti nessuna certezza se non questa.»

Il demone si girò di scatto, facendo perdere la presa all'altro e gettandosi tra le sue braccia. Per una volta, per una singola volta, si prese il lusso di mostrarsi debole, stringendolo a sé come se ne valesse la sua vita e nascondendo il volto tra spalla e collo di Aziraphale.

«Mi basta.»

«Non te ne saresti andato?»

«Non me ne sarei andato.»

Ho bisogno di te (Aziracrow)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora