𝐈𝐕

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«Crowley...»

A spezzare quel gradevole - seppur teso - silenzio fu Aziraphale in un mormorio leggero. Nessuno dei due si mosse. Gli occhi di entrambi rimasero chiusi, le mani fredde del demone erano ancora posate sul dolce volto dell'angelo, mentre quelle di quest'ultimo ancora si tenevano ai polsi dell'amico.
Non rispose. Quella situazione aveva avuto la meglio su entrambi. Aziraphale non disse più nulla per qualche minuto, mentre lentamente muoveva le mani verso il proprio volto, posandole su quelle del demone. Cercò, istintivamente, di intrecciare le dita con le sue - per quanto possibile in quella posizione. L'angelo aveva una cosa precisa in mente: voleva togliere le mani di Crowley da lì.

Non desiderava che il demone smettesse di toccarlo o si allontanasse da lui. Voleva proteggerlo. Voleva sempre e solo proteggerlo.
Quando tentò di fargli lasciare la presa, l'amico non gli diede retta. Aprirono entrambi gli occhi, quasi nello stesso momento, e si guardarono per qualche attimo prima che il biondo parlasse ancora.
«Ti farai male.» Disse con voce dolce, seppur triste, alludendo al fatto che stesse per piangere un'altra volta.
Crowley annuì, accarezzando con i pollici le guance dell'angelo e chiudendo di nuovo gli occhi, consapevole che all'altro non piacesse essere visto in lacrime. «Lo so.»

La stanza iniziò lentamente a riempirsi di singhiozzi mentre la presa sulle mani del demone si allentava. Aziraphale si teneva debolmente ai polsi di Crowley, i suoi occhi azzurri - ora spalancati dal terrore della sua consapevolezza - erano fissi sul suo volto, sul fatto che fosse anch'egli visibilmente preoccupato, sul fatto che avesse gli occhi chiusi forzatamente, obbligandosi a non reagire a quel pianto. L'angelo notò tutto. Notava sempre tutto.
Le labbra serrate, il respiro lento, la fronte corrucciata; Aziraphale sarebbe potuto bruciare nelle fiamme dell'inferno e, nel frattempo, avrebbe comunque notato ogni microscopico dettaglio dell'espressione del compagno.
Quando la prima lacrima toccò la mano di Crowley, questo strinse i denti e fece un - quasi impercettibile - verso di dolore. Non era propriamente acqua santa ma le lacrime dell'angelo gli bruciavano ugualmente, e il demone lo sapeva.
Lo sapeva dannatamente bene e, come un idiota, ogni singola volta era lì a farsi male per stargli vicino.

Tra i due era Aziraphale a rifiutarsi di farsi vedere mentre piangeva, solo perché Crowley si rifiutava, categoricamente, di piangere in sua presenza. L'angelo lo aveva visto ferito, lo aveva visto triste, di pessimo umore, ma non lo aveva mai visto sul punto di piangere. Ogni volta che rischiava di farlo metteva sempre gli occhiali e guardava altrove, fingeva noncuranza, andava via o parlava d'altro; tutto pur di non piangere davanti a lui.

Per la prima volta, in millenni, Aziraphale mise da parte qualsiasi tipo di orgoglio e, con forza, abbassò le mani dell'amico per potersi fiondare al suo collo e stringerlo forte a sé. Lo aveva abbracciato altre volte, soprattutto quella giornata, ma mai così. Non lo aveva mai abbracciato così affettuosamente e desideroso che quell'affetto venisse ricambiato. In genere non lo faceva perché non gli veniva mai permesso dal demone.
Altre volte, invece, evitava di provarci perché erano in pubblico. Quando piangeva era sempre lui a buttarsi tra le braccia di Crowley, il quale, con pazienza, gli portava un braccio attorno alle spalle e lo teneva appoggiato a sé, aspettando che si calmasse.

Questa volta non sarebbe bastato farlo mille volte per calmarlo. L'angelo portò le braccia attorno al collo del compagno e nascose il volto proprio lì, tra collo e spalla del demone.
Crowley si morse il labbro mentre sentiva le lacrime di Aziraphale bagnargli il collo, dando il massimo per non far alcun verso di dolore e non farlo allarmare.

Dall'esterno sembrava così ironico il fatto che l'angelo, attento com'era, non avesse mai colto a pieno i sentimenti del compagno. Era così palese che lo avevano capito tutti, molti erano anche convinti che i due stessero effettivamente insieme; eppure lui no.
Da un lettore assiduo come lui ci si aspettava che lo capisse addirittura prima del demone stesso. Insomma, Crowley era spesso scorbutico, anaffettivo e restio ad aprirsi o conversare. Era un mondo a sé, non collaborava né con l'inferno, né con il paradiso, ma con lui sì. Con lui era sincero, lo seguiva ovunque, lo salvava sempre. A lui mostrava i suoi occhi. Aziraphale conosceva il vero Crowley, quello che era stato e quello che era in quel momento.
Il demone lo conosceva alla perfezione, notava ogni piccolo dettaglio, ogni cambio di voce, ogni interesse, sapeva tutto.

«Crowley, vattene...» Mormorò tra i singhiozzi il biondo, come una preghiera.
Il demone restò in silenzio, convinto di aver sentito male. Sperava di aver sentito male.
Ma così non era.
La presa dell'angelo si strinse alla giacca del compagno mentre le sue lacrime non accennavano neanche a diminuire.
Il suo corpo non voleva ascoltare le sue parole o i suoi pensieri; non voleva che Crowley andasse via, aveva bisogno di lui lì.
«Angelo, non-»

«VATTENE. Ti prego, Crowley, va' via. Vai e cancella qualsiasi cosa ti leghi a me.» Urlò l'angelo in un attimo. La sua voce tremava, le sue mani anche mentre cercava, con ogni forza, di lasciarlo andare.
Aziraphale non voleva essere crudele. Non voleva trattare così male l'unico che per lui c'era sempre stato sin dall'inizio dei tempi. Ma non aveva scelta. Non aveva idee, non aveva nulla; soprattutto non aveva bisogno che Crowley continuasse a rischiare la sua vita per lui.
Un conto era farsi catturare dai francesi solo per la gioia di essere salvato da lui, un altro era finire nelle disgrazie del Grande Capo e trascinare con sé qualcuno che era caduto per molto meno; specie se questo qualcuno era la creatura più importante dell'universo per lui.

──

Il demone annuì in silenzio. Cosa avrebbe dovuto fare? Discuterci non sarebbe servito a niente. Aziraphale non aveva solo paura, era terrorizzato. Rifiutarsi di ascoltarlo avrebbe solo reso tutto più doloroso e difficile per entrambi.
Accettò. Accettò ben consapevole che non se ne sarebbe mai andato via davvero. Aveva lottato per sessanta secoli per poter avere il diritto di definirlo, quantomeno, suo amico; abbandonarlo non era tra le sue opzioni.
Non che fosse una cosa da poco: tra le opzioni di Crowley c'era anche la morte per acqua santa, ma non l'abbandonare a sé stesso il suo migliore amico.

Lentamente, si staccò da lui. Lo guardò con gli occhi spalancati, cercando con ogni piccola cellula del suo corpo di non piangere.
Respirò profondamente e annuì di nuovo, questa volta per convincersi ad andar via e non voltarsi.
Indossò di nuovo gli occhiali scuri, guardando la figura davanti a sé attraverso quelle lenti. Aziraphale tremava. Tremava ancora, incessantemente.
Un silenzio tombale ritornò in quella stanza, ora più buia di prima; sembrava rispecchiare bene come si sentissero entrambi in quel momento.
Il demone tolse la giacca, la posò sulle spalle del compagno e, senza dire una parola, lasciò la stanza.

Fuori da essa, Crowley si lasciò cadere con le spalle al muro. Una delle sue mani andò, involontariamente, sul proprio collo, ormai rosso a causa delle lacrime dell'angelo, così come le stesse mani; le ferite sarebbero sparite in poche ore - o in uno schiocco di dita, se solo avesse voluto. Il problema era proprio che Crowley non voleva sparissero.
Strinse i denti, iniziando a sentire una lacrima rigargli il volto. Non poteva piangere, non poteva farlo né lì, né in quel momento.
Doveva pazientare, ancora. Se lo ripeteva da seimila anni. "Non adesso", "Non qui", "Non davanti a lui"; Crowley aveva così tanto dentro che sarebbe sicuramente esploso secoli prima, se fosse stato un semplice umano. L'universo lo stava mettendo a dura prova. Non avrebbe resistito ancora così a lungo.

Ho bisogno di te (Aziracrow)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora