𝐕𝐈

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Parlando di Crowley, le giornate erano vuote.
Ma quelle di Aziraphale?
La giornata tipica dell'angelo era una tortura continua. Un continuo sentirsi impotente, un continuo desiderio di abbandonarsi e scappare in Paradiso, consapevole che non avrebbe mai più rivisto Crowley - se non in caso di guerra.
Era proprio quel pensiero che lo incatenava alla Terra come se fosse in prigione, l'unica prigione in tutto l'universo da cui il demone non poteva salvarlo.

“Se accetto, non tornerò più qui.”
Ripeteva costantemente da quando aveva detto di no al Metatron.

“Se accetto, non tornerò più qui.”
Ripeteva come se fosse un monito. Non doveva tornare in Paradiso.

“Se accetto, non tornerò più qui.”
Ripeteva a sé stesso che se avesse accettato avrebbe detto addio al suo amato demone.

“Se accetto, non tornerò più qui.”
Aveva mormorato appena Crowley aveva lasciato la stanza, lasciandosi cadere a peso morto sul letto.

La stanza era silenziosa. Fece finta di non aver sentito le spalle del demone crollare contro il muro, i suoi respiri spezzati nel tentativo di non piangere. Doveva fingere. Doveva autoconvincersi a restare fermo lì, a non correre da Crowley e stringerlo abbastanza da fargli quasi male. Voleva stringerlo e sussurrargli tutto quello che provava, tutta la verità, tutto ciò che gli stava nascondendo solo per proteggerlo.
Non fece nulla di tutto ciò. Aspettò pazientemente che il demone lasciasse la struttura, prima di chiudersi a riccio, nascondendosi nella giacca che Crowley gli aveva lasciato.

Avevano passato così tanti anni, secoli interi, senza vedersi ma sempre con la certezza che si sarebbero incontrati ancora, e ancora. Aziraphale si maledì. Si maledì per tutte le volte che gli aveva detto di non tenerci a lui, di non considerarlo suo amico, di non essere sempre stati loro due contro tutto.
Sapeva benissimo che il demone non gli credeva mai, che restasse perché sapeva bene che stesse mettendo - più a sé stesso che a Crowley.
Aziraphale aveva così tanta paura che il Paradiso - o l'inferno - potesse dividerli, che negava anche l'ovvio, pur di non farsi strappare quel briciolo di felicità.

Eppure, quella volta, fu costretto a strapparsela da solo.

I mesi passavano e dei due insieme neanche l'ombra. I primi giorni fu una prova di forza disumana restare fermo in camera e non andare ad aprire la porta al demone. Più volte lo aveva visto - o sentito - sbattere la testa contro la porta della libreria in segno di resa. Crowley non si faceva male facendolo, lo faceva solo per stanchezza psicologica.
Quando le visite iniziarono a farsi più rare, fino a sparire, Aziraphale tirò un sospiro di sollievo.
Sentiva e sapeva benissimo che il demone fosse sempre nei paraggi. Amava e odiava la sua devozione nei suoi confronti; avrebbe scatenato una guerra pur di avere la possibilità di riabbracciarlo. Ma non poteva.

Razionalmente, odiava che fosse così testardo, che non andasse via anche se lo aveva cacciato. Gli pesava che continuasse a restare lì, senza che potesse proteggerlo da nulla.
Emotivamente, invece, amava la sua testardaggine. Amava che restasse con lui nonostante tutte le volte in cui era stato cacciato - anche se non volontariamente. Era dannatamente felice di vedere quella Bentley nera fuori dal suo negozio ogni giorno, incessantemente.

Il giorno in cui Crowley partì per Edimburgo, Aziraphale sbirciò dalla finestra e, non vedendolo, si preoccupò terribilmente. Era così abituato a vederlo lì che la sua mente pensò subito al peggio.
E se gli fosse successo qualcosa? E se il Metatron avesse fatto qualcosa? E se Shax lo avesse riportato all'inferno? E se. E se. E se.

Andò in panico. Iniziò a girare nervosamente per la stanza, cercando un motivo razionale - e non terribile - per cui il demone si era allontanato da lì. Dovette autoconvincersi che fosse tutto ok perché ancora ricordava la sua esistenza. Crowley era vivo. Stava bene, ovunque lui fosse. Non lo avevano cancellato dal Libro dell'esistenza, non gli era successo nulla di irrecuperabile.

Quel giorno imprecò di nuovo, per la seconda volta in tutta la sua purissima esistenza.
«CAZZO!» Urlò l'angelo colpendo la porta con un pugno. Seguì un sospiro e un rumore leggero, della fronte posata contro la superficie appena colpita.
Non aveva notizie da mesi, il Paradiso non si faceva sentire, l'inferno restava dove doveva stare. Non accadeva nulla, non riceveva visite, non sentiva la voce di nessuno da mesi.
Il vedere Crowley ogni giorno era l'unica certezza che lo teneva buono lì. Non sapeva nemmeno perché avesse deciso di passare quei mesi chiuso in camera e non se ne fosse semplicemente andato chissà dove, magari in Italia, in Giappone, in America. Da qualsiasi parte ma non lì.

Inizialmente si chiese perché non riceveva visite, perché nessuno veniva mai a bussare o chiedere informazioni. Capì, dopo giorni, che il demone avesse fatto girare la voce che Aziraphale fosse partito, che non fosse a Soho, che era inutile cercarlo e che stava bene. Non fu un'azione egoista, anzi. Non voleva che l'intero quartiere di preoccupasse per l'angelo.
Conosceva più che bene il migliore amico, sapeva che la consapevolezza di avere qualcuno preoccupato per lui l'avrebbe fatto star male.

“Non è ciò di cui ha bisogno ora” pensò il demone, quando iniziò a parlare a Nina dei piani di viaggio - inventati sul momento - del compagno, del perché non fossero partiti insieme, del perché non avesse salutato lui in prima persona.
Aziraphale odiava così tanto la situazione in cui aveva posto Crowley. Pur di salvarlo lo aveva ucciso psicologicamente, lo aveva costretto a mentire a tutti, a mentire a sé stesso, a dormire male - ormai la vedeva come unica via di fuga - e rifugiarsi in certezze fasulle per non scatenare l'ira divina.

L'angelo aveva imprecato perché non reggeva più. Aveva urlato perché aveva bisogno di uscire. Aveva pianto perché aveva bisogno di dire la verità a Crowley, qualsiasi fosse stata la sua reazione.
Il problema ora era uno: dov'era Crowley?
Aziraphale non ne aveva la più pallida idea. Edimburgo era l'ultima delle sue opzioni. Quale demone si sarebbe rifugiato nei pressi di un oggetto così caro e vicino al paradiso come la statua dell'Arcangelo Supremo?
In quale vita CROWLEY si sarebbe rifugiato nei pressi di un volto così odiato come quello di Gabriele?

Aveva posto quasi alla fine della sua lista il luogo dove davvero si era rintanato l'amico e non aveva nessuno a cui chiedere aiuto.
Ironicamente, tra i due, quello più disposto a chiedere una mano a Dio era il demone. Lo stesso demone che, pur consapevole che sarebbe stato ignorato, aveva chiesto - quattro anni prima - al Padre un'idea su dove si trovasse il suo prezioso Angelo.
Aziraphale non lo avrebbe mai fatto. Non gli balenò neanche lontanamente l'idea di chiedere a Dio se Crowley stesse bene, se fosse vivo e, soprattutto, dove fosse.

E, per la prima volta, non ignorò l'idea per paura che potesse essere punito per aver "fraternizzato" con un demone, no.
La ignorò per paura di essere ignorato, di essere stato abbandonato a sé steso.
Non lo avrebbe semplicemente retto, non allora.

Ho bisogno di te (Aziracrow)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora