Capitolo 5

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Il ragazzo fa il suo ingresso salutando con un educato cenno del capo il professore per poi andare a sedersi a uno degli ultimi banchi.
Ma durante tutta questa scena io rimango un po' stupita.

Aaron.

Anche qui.

Non che mi abbia fatto qualcosa personalmente, ma la sua presenza mi provoca uno strano effetto.
I miei sensi scattano sull'attenti quando si tratta di lui e non ne capisco il motivo.

Lo guardo di sottecchi mentre si va a posizionare al suo posto senza degnare di uno sguardo nessuno. Guarda solo e unicamente davanti a se stesso.

Cammina in maniera lenta e sicura, che sfocia addirittura nel sensuale. Lascia penzolare lo zaino dalla spalla destra e sfila tra le file di banchi con estrema disinvoltura, come se fosse un modello di Yves Saint Laurent durante una sfilata d'alta moda.

Si volta per qualche secondo verso di me.
Mi sorride strafottente e mi rivolge un cenno col capo. Lo guardo palesemente male nello stesso istante in cui Luke risponde al saluto alzando la mano.

Giusto, Luke. Mi ero completamente dimenticata che fosse seduto vicino a me.

Ci sorpassa infilando una mano in tasca, il che non fa che accentuare la sua schiena ampia e le sue spalle ben piazzate.

Arrossisco leggermente quando mi accorgo che lo sto spudoratamente guardando.
Mi giro di scatto toccando le guance accaldate. Scommetto la mano sul fuoco che faccio invidia a un peperone. Faccio finta di scarabocchiare qualcosa su un foglio per non dare a vedere il mio imbarazzo.

Il professore si schiarisce la gola e riprende il filo del discorso. «Bene, ora dovremmo essere al completo.» Si sistema gli occhiali sul naso.

«Prima di presentarvi il programma di questo vostro percorso di studi, mi piacerebbe porvi una banale, ma non scontata, domanda.» Esordisce prendendo a camminare piano per il piccolo palchetto. Ciò lascia tutti un po' straniti.

«Cos'è per voi la felicità?» domanda. Ci fu un attimo di silenzio. Lancio un'occhiata a Luke cercando chissà quale risposta, poi qualcuno inizia a parlare.

'È stare bene con se stessi.'
'È essere appagati di ciò che si è e ciò che si compie.'
'È amare ed essere amati.'

«Amare ed essere amati dice qualcuno nel mezzo.» Riprende la parola il professore. «Certo questo può essere una buona osservazione, ma cosa vi spinge a pensare che ci sia una reale connessione tra felicità e amore? Cos'è per voi amare?» Domanda ancora spingendoci a porci domande che appaiono quasi come "scomode".

Non ci si riesce a rispondere così su due piedi. C'è bisogno di fare ragionamenti, riflessioni e...

«L'amore è un'utopia.» Ci informa qualcuno dal fondo dell'aula, come se non ci fosse qualcosa di più ovvio di ciò.

Mi volto per capire chi fosse riuscito a rispondere così in fretta e, devo dire, rimango ancora una volta meravigliata quando scopro essere Aaron. Oggi è pieno di sorprese. Non saprei dire però se in senso positivo o negativo.

«L'amore è solo un'illusione creata dalla psiche umana. Tutto ciò che si prova a fare è soddisfare l'altro ed essere soddisfatti alla ricerca di qualcosa che non esisterà mai. L'amore, così come la felicità, è solo il vano tentativo di raggiungere qualcosa che non arriverà mai: il sentirsi completi.» Dichiara proprio come se stesse raccontando un qualcosa di palese.

Mi affretto, quindi, a rispondere, non sentendomi in accordo con lui.

Alzo la mano. «Prego, signorina...».

«Johnson. Helen Johnson.» Mi presento e il professore mi fa un cenno col capo.

«L'amore invece sono certa sia salvezza. È ciò che dimostra il nostro essere ciò che siamo: umani. Le essenze delle due persone si legano. Ed è vero può donare tormento, ma il vero amore può donare serenità.»

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